Giulia Caminito, 30 anni, è uno dei migliori talenti letterari italiani della sua generazione. In questi giorni è uscito il suo secondo libro, Un giorno verrà. Un romanzo molto interessante, molto solido, molto vivo. Il racconto è ambientato nella Marche: la parte povera delle Marche, abbastanza lontana dalla costa e dalle città. In un periodo, all’inizio del secolo scorso, in cui lo Stato pontificio aveva perso quasi tutti i suoi possedimenti e il nuovo Stato italiano mostrava non solo la sua inadeguatezza ma anche gli aspetti tirannici della sua presenza.
Un giorno verrà racconta di un piccolo paese, di una famiglia, di alcune persone che si dibattono tra l’ingiustizia della loro esistenza e la voglia di riscatto, il bisogno di riscatto. Per costruire il contesto, l’autrice sceglie una via non facile. Decide di posare lo sguardo su un numero non indifferente di personaggi, sulle diverse attività lavorative, sulle differenti dimore del paese. Come in un presepe letterario troviamo il panificatore, i contadini, i ciabattini, gli animali, le case dei ricchi e quelle dei poveri. Troviamo i bordelli e i posti di polizia, troviamo le chiese, i cimiteri e i conventi. Troviamo inoltre molta natura, come era logico che fosse in quei luoghi ricchi ma abitati da poveri, in un periodo in cui il possesso della terra era ancora espressione – ed esercizio – di potere.
Ma il lettore non è destinato a perdersi perché da subito spiccano tre figure che attraverseranno quei luoghi e entreranno in relazione con i vari personaggi messi in campo. Sono Lupo, Nella e Nicola. Lupo, bambino nudo e sporco che appena nato piangeva sempre. Nicola, poca energia, bambino silenzioso quasi trasparente, ragazzo di mollica. Nella, giovane bellezza rinascimentale, schietta, morbida, dalla voce sgraziata e dialettale. Tre fanciulli, tre adolescenti, tre esseri umani adulti. Diversi tra loro per indole ed aspetto.
La vita di tutti si muove intorno a due “monumenti”, due “fari” e punti di riferimento, solo apparentemente immobili nella loro solennità. Sono Giuseppe, anziano anarchico rispettato e ascoltato non solo dalla sua famiglia, i Ceresa, in cui riveste il ruolo di nonno; e suor Clara, una donna nera, a dispetto del nome, misteriosa e carismatica al punto da trovare seguito anche quando si troverà a disobbedire alla gerarchia ecclesiastica, autorevole quanto basta a guidare non solo un convento ma, per certi aspetti, un intero paese.
Poi ci sono i personaggi minori. Minori nelle loro meschinità e nelle loro debolezze, a volte trattati con tenerezza altre volte condannati a destini assai amari. Quello che più conta, nel romanzo, è la capacità di Giulia Caminito di muoversi seguendo sempre un filo chiaro: quello che divide i giusti dagli ingiusti, i poveri dai ricchi, i diseredati dai padroni, gli sfruttati dagli sfruttatori, il potere maschile dalla vita delle donne.
Nelle prime pagine sembra che le donne siano relegate in una posizione marginale. Proseguendo ci si rende conto però che proprio nella dimensione della separatezza – il convento – possono esprimere al meglio la forza del loro carattere e dei loro sentimenti, il peso delle loro biografie. In generale quello che accade a tutti i personaggi del racconto sembra deciso da una forza esterna e superiore che non elimina le responsabilità individuali ma accentua di molto la sensazione che vita e destino coincidono. Tutti devo lottare, chi per sopravvivere, chi per emanciparsi, chi perché vuole un futuro migliore e sogna un mondo più giusto.
Queste anime dolenti e combattenti incontreranno la Storia: i moti della Settimana Rossa, l’avvento del Socialismo, la Prima Guerra Mondiale, l’epidemia dell’influenza spagnola fino agli anni bui dell’avvento del Fascismo. Ma sono i legami tra gli esseri umani a coinvolgere il lettore e a condurlo per tutta la narrazione attraverso pagine spesso commoventi che, oltre al senso della storia, ci restituiscono il senso profondo della vita.