Il sé, la coscienza di un essere la cui mente “è più vasta del cielo”, scriveva Emily Dickinson in un lontanissimo Ottocento. Lo stupore di Anil Seth, assistendo a un intervento chirurgico atto a disconnettere l’emisfero destro di un cervello di un bambino di sei anni affetto da severa epilessia, è qualcosa che amplia e modifica ogni tipo di studio già esistente. Non solo per il presentarsi allo sguardo del neuroscienziato la visione di un cervello – organo miticamente misterioso – “messo a nudo” nel vero senso della parola. In un’operazione ben condotta l’emisfero rimanente soddisfa (quasi) del tutto le funzioni e il lavoro di un cervello integro.
Anil Seth insegna all’Università del Sussex, è uno dei massimi ricercatori nel campo della scienza che indaga sulla coscienza. In questo saggio, vincitore di numerosissimi premi internazionali, si mette a dura prova ogni nostro pensiero, per lo più straniante, su cosa voglia dire la nascita di una ricca vita interiore da una base fisica, cioè da un corpo capace di vivere e riprodursi in ambiente adatto. Le opzioni derivate dalla filosofia sono molteplici, si sa, ma negli ultimi decenni si è messo a fuoco qualcosa di nuovo, con strategie d’ogni genere riguardanti sapiens, gli animali e in ultimo l’IA, usualmente detta ‘intelligenza artificiale’.
L’esperienza soggettiva di ogni essere umano (ma l’autore non tralascia il resto degli esseri viventi del nostro Pianeta, con in prima linea la presenza cosciente dell’Octopus vulgaris, il polpo comune: molto diversa da ogni altra, inscena forse la meno banale forzatura delle intuizioni maggiormente diffuse) trova nel libro un’indagine che ha pochi precedenti nell’ambito della divulgazione scientifica, fermo restando che ci troviamo per certo oltre i confini di genere: la fenomenologia della coscienza mette di fronte gli scienziati (e chi cerca di seguirli nel loro percorso) a una miriade di problemi, non ultimo quello che sta alla base del famoso test di Turing (criterio per valutare se una macchina può pensare) avendo oggi di fronte altre strategie per risolverlo. Potremmo giungere presto al punto in cui ciò che conta è se il robot fa sì che una persona cosciente senta che lui è cosciente. Come si nota, qui il test è rivolto a sapiens e non al robot.
Ma prima di queste esperienze che rasentano la fantascienza (giusto ripassarsi, come fa l’autore, le problematiche mai risolte relative a Frankenstein, Terminator, Blade Runner, HAL 9000, Ex Machina, Westworld), Seth analizza il continuo stato allucinatorio attraverso cui il nostro cervello fa esperienza della realtà, cioè quanto di “utile” quest’organo offre alla coscienza di una realtà che di per sé non ha né colori né suoni né altro. Il mondo che percepiamo attorno a noi passa attraverso una sorta di “allucinazione controllata”: la percezione probabilmente non è la presunta eccezionalità delle nostre menti coscienti. Seth non sa quanto ci porterà lontano questa ricerca ma di certo immagina che l’interpretazione del mondo stia attraversando – al netto delle tossiche miscele pubblicitarie ora in corso – un intenso studio scientifico cumulativo. Leggere Come il cervello crea la nostra coscienza è osservare il nostro sé, per una volta davvero in prima persona.