Aniela Rodríguez e l’irresistibile attrazione dei corpi

Aniela Rodríguez, Il problema dei tre corpi, Tr. Annalisa Rubino, gran vía original, pp. 112, euro 13,00 stampa

“La pallottola tracciò una linea traballante. Come se fosse inevitabile”. È la pallottola che parte dalla pistola di Jacinto e arriva al prete che ne ha ingravidato la moglie e a cui rimane solo il tempo di capire “che il cielo è un’invenzione dal cazzo” prima di precipitare nel buco nero della morte (Le feste di Caino).

Ne La scatola di fiammiferi il buco nero è invece il cortile della vedova Tavarez che attrae irresistibilmente le palline del gioco che fanno due adolescenti e attrae anche il fiammifero che inaugura la raccolta di racconti con uno spettacolare incendio.

Se cadi da una impalcatura arrivato al suolo non ti salvi ma sicuramente nella zona intermedia fra la vita e la morte non riesci a venire a capo delle Istruzioni per perdere le scarpe, titolo ironico (pieno di umorismo sulfureo) di uno dei racconti più belli: puoi solo constatare che mentre sei moribondo il medico allunga le mani su tua moglie. In ogni caso, il protagonista, Elias “aveva smesso di capire la lingua degli uomini, ora apparteneva al regno di quelli che aspettano.”

Per parlare di questa raccolta di nove brevi e fulminanti racconti che hanno attratto irresistibilmente la giovane scrittrice messicana Aniela Rodríguez nell’orbita dei 25 più promettenti giovani narratori di lingua ispanica scelti dalla rivista Granta nel 2021, è obbligatorio partire dal titolo Il problema dei tre corpi che rimanda a un quesito, tuttora matematicamente irrisolto, lasciatoci da Newton. Il problema consiste nel prevedere il movimento di tre corpi che, date la posizione iniziale, la massa e la velocità, sono sottoposti alla reciproca attrazione gravitazionale.

Fra i molti fisici e matematici che hanno cercato di risolvere il problema c’è anche Lagrange, che ci prova nel XVIII secolo: questi compare di sfuggita nell’ultimo racconto della raccolta, tutto basato sui calcoli incomprensibili di uno scienziato terrorista che attrae e sequestra il protagonista, prigioniero consenziente, ambedue alla ricerca di un significato nascosto e di un ordine intellegibile dei numeri.

Dei nove racconti quest’ultimo, A Werner con affetto, è quello che allude direttamente all’equazione irrisolvibile dei tre corpi, ma tutti i racconti sono costruiti impeccabilmente su questa impasse come parabole che cercano di chiarire un argomento difficile e astruso con uno più chiaro tratto dalla vita reale. Un progetto palesemente impossibile – se non nella libertà propria della letteratura di provarci a dare risposte – poiché nei racconti l’attrazione fra i corpi che non sono quelli celesti ma quelli di poveri, operai, prostitute, rapinatori falliti e tutta la teoria degli eterni perdenti è irrefrenabilmente e necessariamente diretta verso la morte secondo traiettorie strane e bizzarre: del tutto prive di un senso che vada al di là del loro puro inevitabile accadere.

Rodríguez, impavida e impassibile, indaga le leggi dell’attrazione da diversi punti di vista – seconda persona singolare, riflessioni in punto di morte, racconto nel racconto, ricordi e sogni a dimostrazione che non esiste una legge che dia un significato, men che meno trascendentale, alla morte che, come detto, è il vero filo conduttore di tutti i bellissimi racconti perché come “Nei sogni, le persone lo sanno da subito che stanno per morire” ma non sanno perché.

Se i racconti – che hanno un andamento interno e complessivo circolare – si riferiscono alle imperscrutabili leggi fisiche che governano i corpi, le loro cadute fanno pensare a quell’ibrido di cattolicesimo e paganesimo amerindo che è la festa religiosa di El día de los muertos. Alle origini del culto precolombiano la vita e la morte sono strettamente intrecciate, una la continuazione dell’altra, prive dell’orizzonte trascendente di punizione o premiazione introdotto dal cattolicesimo con l’Inferno e il Paradiso.

I protagonisti dei racconti, singolarmente uomini, accettano la morte come evento normale perché, come dice il protagonista di Le divinità momentanee: “Anche se non sapevo da che parte cominciare per raccontare la mia vita, ero sicuro di sapere come avrei raccontato la mia morte”.

L’unico momento in cui la scrittrice si sbilancia ed esce dalla perturbante franchezza della sua scrittura è quando ammette “che non c’è una logica se non il fatto che in questo mondo non c’è posto per i perdenti”. Ma è solo un momento, indicazioni consolatorie e/o morali per il lettore non ce ne sono: se questi racconti, come detto sopra, sono parabole, non lo sono sicuramente nel senso che vogliano alludere a un significato etico o didascalico. Il lettore deve arrangiarsi da solo. Ma nella morte straziata di Elias caduto dalla impalcatura, nelle pozza di sangue in cui lo trovano i suoi compagni di lavoro, risuona lo stesso strazio  dell’ultimo (ormai penultimo) corpo di operaia, della ventiduenne Luana D’Orazio stritolata da una macchina tessile il 3 maggio del 2021 a Prato in Italia. Morti, queste, sicuramente colpevoli ed evitabili.

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