Giovanissimo, dinamico e “tagliente” viene definito Gonni, al secolo Iginio Gonich, da Filippo Tommaso Marinetti, il quale intende quest’ultimo aggettivo come un nome di battesimo, pseudonimo che doveva attestare in maniera inequivocabile la sua adesione al movimento futurista. Tagliente esilio è il titolo del volume che Angelo Airò Farulla dedica a questo enigmatico artista, sfuggente protagonista della cultura novecentesca; un libro che è “frutto di una doppia perdita”, dell’uomo conosciuto e del suo ricordo. È lo stesso Gonni a edificare la propria leggenda disseminando il percorso di elementi distraenti, di trappole insidiose per il biografo incauto; per questo tanto più apprezzabile appare il lavoro di Farulla, che narra la vicenda di Gonni con romanzesca abilità, ricostruendone le coordinate artistiche e umane.
La nascita a Capodistria nel 1911 lo colloca in uno spazio incerto, posto ai margini del decadente Impero austroungarico. Le innumerevoli declinazioni del proprio nome, di volta in volta mutato come uno sberleffo irriverente, definiscono il carattere dell’uomo, refrattario a qualsiasi etichetta, estraneo a qualsivoglia formazione accademica, carismatico e libero nelle sue esternazioni estetiche. L’individualità si sgretola, dissolvendosi in innumerevoli rivoli. Gli esordi lo vedono aggirarsi tronfio nella città ridefinita dall’esaltazione mussoliniana. Muove i primi passi nel campo del giornalismo, accreditandosi in seguito come grafico pubblicitario e artista visivo. “Ha iniziato rumorosamente come futurista”, scrive Aldo Cherini definendo la peculiarità di un giovane destinato a lasciare un segno. Viaggiatore instancabile in un’Europa morente, curioso e inquieto, annota ogni espressione avvenirista. Il giornalismo non lo appaga, per cui sceglie la strada dell’arte. In Germania approccia le prospettive di Lyonel Feininger, che lo influenzano nella sua particolare declinazione del paesaggio urbano. I primi guai con la giustizia definiscono il carattere ribelle e inquieto di Gonni, bollato come sovversivo in giovane età.
Arduo discernere fra verità e leggenda negli eventi della sua esistenza. Un esempio su tutti, il presunto incontro con Hitler quando si trovava a Berlino nel 1933. I racconti dell’artista, del resto, appaiono tanto mirabolanti quanto impossibili da verificare, certamente adulterati per un fine leggendario. “Gonni creò già in vita il proprio mito”, scrive giustamente Farulla, e in questo ebbe pieno successo. Sfrenato nella vita, artisticamente fu un solitario. L’adesione al credo fascista appare di circostanza e mai intimamente vissuta, così come l’attrazione verso l’estetica futurista sfuma nel rifiuto di qualsivoglia legame. Lo spirito d’indipendenza lo spinge in continui pellegrinaggi per l’Europa, prima che la guerra precipiti il continente nella tragedia. Un sentore di tristezza ne caratterizza il destino, votato all’esilio e all’errare senza meta.
Esule Gonni lo diviene davvero quando, in seguito a una burla, viene condannato a cinque anni di confino nella cittadina di Agnone, in seguito ridotti a due; una pena che diviene un lasciapassare contro eventuali accuse di connivenza con il regime fascista. Nell’aspra solitudine montana matura una poetica personale, intrisa di raffinata indeterminatezza. Il disegno diviene il suo ambiente prediletto. A partire dal 1942 Gonni è a Firenze. Farulla tratteggia le atmosfere sospese di una città fragile, timorosa per la sorte del suo patrimonio artistico, avvolta nella miseria, contesa fra fascisti e partigiani, percorsa da giovanotti che affogano le preoccupazioni relative al conflitto in una esistenza estetizzante. Dopo la guerra la figura di Gonni diviene sempre più sfuggente; l’artista viene fagocitato dall’uomo. Vive in uno studio senza pagare un soldo e per il vitto si affida agli amici. Accanto a lui una pletora di artisti altrettanto folli, oggi sconosciuti ai più, dei quali balenano indimenticabili ritratti. Negli anni Cinquanta piazzale Donatello a Firenze è una piccola Montparnasse, che ricorda al pittore il suo trascorso soggiorno parigino. La fuga sull’isola d’Elba, sorta di Eden primordiale lontano dagli strascichi della guerra, si riveste di contorni mitici. Il gruppo di pittori capeggiato da Gonni aspira a un’esistenza semplice, libera dalle costrizioni del tempo. Un’utopia destinata a durare pochi anni. Sull’Elba tornerà dopo molto tempo, quando acquisterà la sua prima casa a Portoferraio. Con la vecchiaia non si muoverà quasi più dall’isola.
Come lo Zelig di Woody Allen, affetto da patologia imitativa e per questo onnipresente, l’artista compare in innumerevoli immagini dominate di volta in volta da Marinetti, o da De Chirico; il suo viso inconfondibile spunta improbabile e distante, come fosse lì per caso. A un certo punto, verso la metà degli anni Sessanta, qualcosa in lui si incrina; smette di dipingere, forse per sentirsi davvero libero dalla necessità di dichiararsi artista. L’enigma Gonni si alimenta di questa ritrosia, delle scarse opere note, per lo più disperse in collezioni private. Chi lo conobbe ricorda il suo carisma, il talento affabulatorio. Il suo lascito appare fantasmatico, così come la sua esistenza, per la prima volta narrata con dovizia di testimonianze e sincera partecipazione, vissuta sul labile confine fra realtà e leggenda.