Anedda e Biagini: scrivere e leggere versi

Antonella Anedda, Elisa Biagini, Poesia come ossigeno, Chiarelettere, pp. 148, euro 16,00 stampa, euro 9,99 epub

I fatti della vita – al seguito dei fatti della poesia – e le dimensioni temporali in quest’occasione s’incrociano, scambiano il participio passato e il presente, intesi come verbi nel pieno coinvolgimento della scrittura. L’ossigeno non è più soltanto questione ecologica ma attualità medica, a ridosso di tecnologie che la vita possono salvare o, in alcuni casi, predisporre attentati all’umano. Bisogna afferrare quel che accade nell’attuale mondo, e dentro le anime la cui comunità un tempo venne osservata, nelle sue scaglie luminose, dal poeta Cesare Viviani. Era il 1997 e ancora pochi si aspettavano (o intuivano) quanto ci sarebbe capitato nei decenni successivi. Ma lui sì, opponeva l’energia dell’eroismo, senza furori dell’io, alle negazioni della storia. Incroci di lucide visioni al dolore pluridimensionale del mondo. Compito difficilissimo della poesia, che poetesse come Antonella Anedda e Elisa Biagini, col viatico di Riccardo Donati, praticano e affrontano in questo libro: dove, per avvicinamenti progressivi, scorrono gli sguardi dentro ai Conglomerati zanzottiani alla ricerca di cosa collide con l’umano, e quali strumenti quest’ultimo possa adeguare ai tempi perché la poesia non perda le parole. Perché gli uomini non le perdano, o peggio, si dissolvano nelle parole.

Nei diversi dialoghi, nella trascrizione dei testi poetici presenti in Poesia come ossigeno, incontriamo poeti, oltre alle stesse dialoganti, che hanno saputo trasformare la realtà, trascurando la bulimia del dire, ma arricchendo il linguaggio comune, antico e contemporaneo, con la fantastica capacità dell’esistenza umana. Due poetesse e un critico accomunati dalla visione, a tutte le latitudini, di lingue in grado di farsi leggere ovunque, sia su terricci arcaici sia su terreni oggi brutalmente asfaltati. Piace loro rendere grazie alle innumerevoli conversazioni planetarie che, prima o poi, giungono dentro la poesia di grandi scrittori, come un reportage del mondo e come un organismo vivente che tutti ci contiene. I poeti leggono altri poeti, i lettori si impressionano in questo tempo atmosferico guidato attraverso i millenni, tradotto e riportato alle generazioni. L’umore e i malesseri spingono a farlo, Anedda e Biagini lanciano la loro visione oltre i confini geografici e mentali, fuggono le narrazioni monocordi e vitalmente invitano allo stare insieme in un’attualità accesa, dove si respira l’ossigeno, dove a viso aperto si combattono i virus pandemici fisici e psichici.

La storia con la “S” maiuscola ha le sue dinamiche per descriverci la verità, in ogni campo e dunque anche nella poesia. Le ragioni vitali sono molte, e molte prendono posto in questo libro che ha il registro giusto per raccogliere e disporre pedagogie (ancora Zanzotto). I boschi sono bisognosi di gran luce e non di sola ombra, così come taluni vorrebbero per affondarvi le proprie oscurità. La natura del trauma forse oggi sarebbe meno ignota al grande abitante di Pieve di Soligo, nell’attuale scena narrativamente oscura, forte di una poesia dove indagine e compromesso lottano perché la prima abbia la meglio. La poesia probabilmente non salva la vita, ma mostra tutti i tempi nel tempo attuale, si fa carico di tutte le lingue in modo che esse narrino le storie del mondo, col loro carico di cose. Alla luce, poiché queste poetesse, con i poeti e i lettori, non stanno bene al buio. E l’ossigeno quando non esplode rischiara in ogni dove, anche qui: la ragione della virtù “inutile” della poesia (Montale a Stoccolma per il Nobel) contro l’imperativo del profitto.