Andrew O’Hagan / Ascesa e caduta di un popolo

Andrew O’Hagan, Caledonian Road, tr. di Marco Drago, Bompiani, pp. 624, euro 20,80 stampa, euro 14,99 epub

Vengono tanti pensieri, leggendo Caledonian Road, così tanti che è difficile metterli in ordine. Una delle cose belle è sapere il successo che il libro sta avendo in Gran Bretagna, nonostante, o forse proprio a causa delle oltre 600 pagine che danno al libro un respiro ottocentesco, e delle numerose e diverse storie e personaggi le cui vite si intersecano, si intrecciano, si separano e sviluppano. Non c’è quindi il protagonista, ma c’è piuttosto un filo conduttore che è Campbell Flynn, critico d’arte e intellettuale, nato e cresciuto in uno squallido palazzone della periferia di Glasgow e diventato benestante, noto e riconosciuto grazie allo studio, all’intelligenza e a quella finestra di pari opportunità che la società britannica (e quelle europee in generale) ha conosciuto negli anni ’60. Flynn è felicemente sposato con una signora nobile, vive in una bella casa in una bella zona di Londra, va a parlare in televisione, nei musei e nei convegni, ha amicizie importanti e anche nobili.

Eppure i tarli non smettono mai di lavorare: i soldi, argomento completamente tabù con la moglie, che a Campbell non bastano mai; la signora del piano di sotto, nel seminterrato, che lo aspetta al rientro e lo assilla con lamentele e richieste di interventi nel suo appartamento, salvo poi non far entrare gli operai a fare il lavoro; i figli, un DJ e una modella, di grande successo ma per lui incomprensibili, e inaccettabili. Sono soprattutto i soldi a non far dormire Campbell Flynn. Che così decide di scrivere un pamphlet in difesa degli uomini, un bestseller, un libro che raggiunga il pubblico qualunque e che, a differenza del raffinato saggio su Vermeer che gli ha dato la notorietà e lo status di intellettuale, gli dia denaro. Molto denaro. Però, non volendosi esporre e soprattutto non volendo intaccare l’immagine colta e sapiente che ha creato di sé e che gli dà accesso ai salotti nobili e ricchi, Flynn farà finta che il libro l’abbia scritto qualcun altro. Un attore. Bello e giovane.

Nonostante le perplessità del suo agente letterario, il piano di Campbell viene portato avanti. Peccato che si siano fatti i conti senza l’oste. “Perché gli uomini piangono in macchina” (così si intitola il libro) viene accolto da furiose reazioni da parte delle donne e dell’establishment che, in pieno #metoo, le appoggia incondizionatamente. L’attore è costretto a chiedere scusa pubblicamente, e i soldi sperati non arrivano. E Campbell, in parte soggiogato dal fascino di un suo studente, povero e brillante e provocatore, che gli ricorda sé stesso da giovane, in parte trascinato dalle preoccupazioni e dai segreti che sta accumulando, si lascia andare a un crescendo di alcool e hashish. Forse per questo finisce per perdersi in un bicchier d’acqua, cedendo alle provocazioni dell’inquilina di sotto e cacciandosi in un guaio che no, non vi racconto.

Ma non vacilla solo il piccolo mondo di Campbell Flynn. Anche gli altri mondi, che coesistono porta a porta e mal si sopportano, e che O’Hagan ci racconta in questo magnifico e minuzioso ritratto della Londra contemporanea, anche gli altri mondi cominciano a sgretolarsi: gli oligarchi russi che sono venuti a ripulire i loro soldi grazie alle speculazioni edilizie, e che per un certo periodo hanno goduto del favore dei politici, ora vengono abbandonati a se stessi e la loro corruzione viene denunciata. I trafficanti di migranti devono affrontare le conseguenze della loro avidità e disumanità. Businessmen senza scrupoli e trafficoni di vario genere si trovano in difficoltà e i loro sporchi giochi vengono denunciati. Purtroppo le vittime sono sempre i deboli, i poveri, le donne; magari non individualmente innocenti ma senz’altro socialmente innocenti. Ma quelle morti fanno da detonatore a un sussulto di riscossa della moralità pubblica.

Il ritratto della Gran Bretagna e di Londra dopo la Brexit, che O’Hagan dipinge come un quadro iperrealista, è perfetto. Una città desiderabile e invivibile, dominata dalla speculazione edilizia, in cui è impossibile vivere se non sei straricco, e una nazione confusa e disorientata, in cui si sono persi i valori di riservatezza, sobrietà, gentilezza verso gli altri e rispetto del bene pubblico, ma non si è perso il classismo, che anzi si è rafforzato e radicalizzato. A cui si è aggiunto il culto del dio denaro e l’ostentazione della ricchezza. In cui non arrivano più, o quasi più, gli immigrati dalle ex-colonie, con la loro capacità di creare delle comunità che, lungi dall’essere integrate, offrivano però un sostegno a chi arrivava da lontano. Ora molta immigrazione arriva dall’est europeo, e spesso si tratta di lavoratori e professionisti che prima della Brexit avevano permessi di soggiorno e di lavoro. Ora sono clandestini, attraversano le frontiere nascosti nei container, e quando arrivano sono soli, con solo se stessi su cui contare. Per non parlare dei giovani, tra i quali la divisione tra ricchissimi e poverissimi senza nulla in mezzo è già evidente prima ancora che finiscano la scuola. La violenza, il coltello facile, le droghe, sono tutte conseguenze tristissime e difficilmente evitabili.

Però non ci sono rimpianti e non ci sono nostalgie. C’è anzi la convinzione che si possa combattere la corruzione, che si possa lavorare per la giustizia. Che ci si possano prendere le proprie responsabilità e anche le proprie colpe, e che ci sia in questo non tanto una redenzione quanto una comprensione del mondo e del nostro prossimo, a suo modo dolce e confortante. C’è un’idea di possibilità, di un futuro che, come tutti i futuri, deve essere ancora scritto e nessuno di noi può sapere come sarà. Quindi perché non potrebbe essere migliore?