Con il suo ultimo romanzo, I colpevoli Andrea Pomella indaga sul rapporto tra un figlio maschio e suo padre. Pomella si muove lontano dalle scelte intimiste dell’introspezione, ma affida alle sue conoscenze letterarie le possibili soluzioni ai quesiti che di volta in volta si presentano. Le dinamiche del rapporto in questione partono da una rottura e si avviano progressivamente verso un finale maturo con dure consapevolezze.
Già nel passato, Pomella ci aveva mostrato il desiderio e il bisogno di misurarsi con alcune sue proprie dimensioni esistenziali. Non per nulla è considerato uno dei riferimenti per chi si occupa di scrittura autobiografica, nel nostro paese. Nel riuscitissimo L’uomo che trema (Einaudi, 2018) Pomella aveva rappresentato la dura esperienza della depressione che a tratti, ma solo a tratti, possiamo trovare replicata in quest’ultimo libro più per certe atmosfere che nella condivisione di una vera e propria dimensione umana.
Il racconto de I Colpevoli prende le mosse dalla scelta drastica e radicale di un bambino che, una volta saputo che il padre si sta separando e andrà via di casa, laconicamente gli scrive “non voglio più vederti”.
Si avvia così una separazione che dura ben 37 anni. Senza interruzioni. Senza ripensamenti. Ma l’incipit del libro ci mostra un figlio adulto e un anziano padre che si occupano entrambi dello stesso giardino, chiara allusione alla cura e alla presa in carico. Il figlio è sposato, a sua volta, e ha un bambino di nome Mario che sembra avere un rapporto felice con il nonno.
Pomella, in questo modo, ci toglie il “gusto” di un certo finale, tipico della narrativa tradizionale. Ci dice subito che i due si riavvicineranno. Ma per sapere come e perché dobbiamo continuare a leggere il libro.
Passo dopo passo affrontiamo le questioni cruciali di una relazione che è stata di rabbia e di rancore e che ora è basata sul perdono. Ma non perché si sia trattato di cancellare o scusare il comportamento dell’altro. Non perché si perdoni sulla base di un pentimento. Ma perché ci si basa su un perdono più vero e più solido, del tutto gratuito, che prescinde da ogni pietà per costruire l’occasione dell’attraversamento dei territori dell’altro.
Fatte queste premesse, che per molti aspetti costituiscono il punto di arrivo della vicenda, la vita quotidiana del protagonista ci viene raccontata fin da bambino nelle cose semplici di un quartiere romano di periferia. Tra amici di strada, spacconerie e bullismo, padri comunisti che facevano riferimento a “grandi uomini” della rivoluzione (ma si fermavano lì perché si trattava di un’adesione piuttosto superficiale), il giovane protagonista pensa continuamente al padre lontano. Fatalmente prova a definirne i contorni passando per le caratteristiche più immediate, ovvie e banali. E allora lo scrittore cita a proposito Franz Kafka. Lo cita per una lettera che Kafka scrisse al padre e che non gli consegnò mai perché tutto il rapporto tra i due era informato solamente dal sentimento della paura.
Ma poiché la paura è un sentimento troppo rudimentale per fornire da solo le caratteristiche del rapporto, il ragionamento si sposta allora sulla possibilità/necessità del compromesso. Ma come si può realizzare? Solo a patto che una porzione della propria vita rimanga fuori dalla relazione. E questa prospettiva appare francamente inadeguata alle necessità e alle aspettative.
Si prova allora ad andare al nocciolo della questione: il tradimento. Non solo del padre che abbandonò la famiglia, ma anche del figlio, a suo tempo infuriato e addolorato, che da adulto è messo di fronte a scelte analoghe.
Affiorano allora le passioni comuni con il padre tanto odiato, soprattutto la passione per la musica della quale il figlio quasi si vergogna, ma solo perché rende evidente un legame con il genitore che egli vuole negare.
A questo proposito va ricordata la citazione della vicenda del rapporto tra i due musicisti Jeff e Tim Buckley, padre e figlio lontani per molto tempo, che si incontrano dopo tanti anni senza rancore e con estrema dolcezza. Un modo per rappacificarsi con il tormento che queste pagine ci rappresentano.
Condivisione e tradimento sono il vero e proprio filo conduttore delle riflessioni e della narrazione. Ci vengono in aiuto le riflessioni di James Hillman sul Puer Aeternus, la lettera del giovane Giacomo Leopardi a suo padre Monaldo, il rifiuto di Martin Pollack di portare il nome del proprio genitore perché fortemente implicato con il nazismo. Fino al finale shakespeariano di Bruto dilaniato dal dolore per aver ucciso suo padre Giulio Cesare.
E qui il lettore si può anche lasciare andare a riflessioni che hanno un carattere etico, ma che molto devono alla sensibilità culturale che nel tempo si modifica: è più grave il tradimento del padre nei confronti del figlio o viceversa?