Mirko e Renata sono intrappolati in una danza magnetica – non si capiscono e non vogliono capirsi, ma continuano ad attrarsi l’uno nella vita dell’altra, accettando loro malgrado che il loro è un passo di danza inevitabile. Superando la paura di ombre recenti e remote entrambi si ritroveranno sulla soglia di viaggi psichedelici e consapevolezze vitali, reali, dolorose.
Andrea Piva, sceneggiatore e scrittore salernitano, offre una lettura contemporanea e attuale sugli psichedelici, sostanze capaci di ampliare la percezione del mondo circostante – esperienza che Mirko e Renata affrontano, ognuno con il proprio bagaglio esistenziale. Sebbene gli psichedelici siano stati i primi farmaci medicinali psichiatrici della storia, usati perfino da Platone, Apuleio e Cicerone – e in alcune zone del mondo siano tutt’oggi parte della cultura locale e considerati veri riti di passaggio – la comunità internazionale nel suo insieme si tiene ben alla larga da un’approvazione legislativa, remandoci contro. Mirko è uno psichiatra di professione e sente di dover entrare nel mondo psichedelico, visto come forma di cura non solo per diverse patologie legate alla psiche, ma anche come sostegno ai malati terminali – e sente di doverlo fare per Renata.
Mirko intraprende il viaggio prendendo l’ayahuasca, sostanza somministratagli da uno sciamano durante un ritiro in Toscana. Sente di aver avuto un’esperienza a livello sacro con la vita e la morte assieme – una nuova comunione, una nuova percezione nell’elaborazione della morte di suo fratello, prima del tutto impensabile, ora necessaria e liberatoria. Anche, e soprattutto, per Renata l’esperienza psichedelica è urgente e una corsa incontro al tempo – verso l’accettazione di una diagnosi di male incurabile, che si porta appresso come un fatto irrilevante ma profondamente paralizzante. Con questo bagaglio si presenta alla porta di Mirko – e pian piano trova una ricarica emotiva e vitale prima impensata. Così si approccia a un “viaggio” – controllato e medico – dal quale ritorna con la consapevolezza dell’importanza di provarci, e di affrontare la propria paura del dopo.
Entrambi si chiedono come non sia una prerogativa esistenziale sostenere una pratica psichedelica, così sacra in alcune culture e così stigmatizzata in altre. Piva accenna a un “disincanto del mondo”, dove abbiamo perso ogni legame con l’ambiente circostante e con un qualcosa di più ampio – dove il materialismo dell’esistenza perde sostanza solo quando si confronta con l’essenziale. È lì che Mirko e Renata si ritrovano, alla fine: nell’essenziale disincantato.