Andrea Inglese / Storie di una letteratura ulteriore

Andrea Inglese, Storie di un secolo ulteriore, DeriveApprodi, pp. 128, euro 13,00 stampa

Accanto alla poesia e al romanzo, Andrea Inglese coltiva da anni la prosa breve, con esiti di sicuro valore, ma finora pubblicati perlopiù online (ad esempio su Nazione Indiana, longeva rivista in rete di cui Inglese è da molti anni redattore). La collana sconfini, curata da Giorgio Mascitelli per DeriveApprodi, si presenta adesso come il luogo ideale per una prima pubblicazione in volume di questo versante dell’opera dell’autore milanese: le Storie di un secolo ulteriore, infatti, sono narrazioni brevi altamente “sconfinanti” nel loro rifiuto di trama, personaggi e ambientazioni convenzionalmente legati alla forma-racconto (e anche ad alcuni intendimenti più conservatori della “microfinzione”, genere di lunga tradizione in ambito ispanoamericano, recentemente promosso in Italia da varie realtà), nonché nella loro versatile, e spesso vivace, inventiva linguistica.

Sarebbe tuttavia fuorviante, e sminuente, pensare a queste Storie, che sono insieme “non-storie”, come un trait d’union fra i generi di scrittura già attraversati da Inglese; hanno invece un carattere certamente autonomo (con l’esplorazione, inoltre, di alcuni procedimenti formali connotati da una notevole radicalità, se calati nell’ambito formale della prosa breve), e al tempo stesso intrattengono un rapporto molto stretto, in particolare, con la scrittura poetica.

È rispetto a quest’ultima che si possono definire “ulteriori”, aggiungendo una connotazione metaletteraria a quelle evocate, senza una risoluzione definitiva, nella quarta di copertina: «Non si sa bene a quale significato del termine “ulteriore” queste storie appartengano: a quello spaziale e geografico, legato all’uso che ne facevano i romani dell’antichità, per indicare zone marginali, o a quello più corrente, per indicare qualcosa di nuovo. Sono storie di un secolo a venire, o forse di un secolo nascosto». Tali appunti, nella loro indecidibilità, sono di certo assai puntuali rispetto a un testo in cui, ad esempio, la qualità politica appare come un disincanto, in ogni caso mai cinico, di fondo. Se però si considera il carattere “ulteriore” di queste “storie”, rispetto agli ambiti della poesia e delle scritture di ricerca, non si può non evocare anche un ragionamento sul mondo della letteratura. Alcune “storie”, in fondo, ne parlano molto, con soluzioni che vanno dal bozzetto parodico del milieu letterario (da Storia dell’extraterrestre, ad esempio: «Un extraterrestre sanguinario, però, avido di massacri, anche se di fede antisistema, è meglio non coinvolgerlo in piani politici di ampia portata. […] Lo si potrebbe, però, sguinzagliare di tanto in tanto nei consessi accademici o in mezzo alle giurie dei premi letterari»), alla riscrittura come esercizio di stile, ma finalizzata a una riflessione tutt’altro che scontata o semplicemente irridente sulla letteratura cosiddetta “mainstream” (si veda la “Storia con sette finali alternativi di Tasmania”, dove Tasmania è proprio il libro di Paolo Giordano del 2022) al commento d’autore. Sono poi certamente di argomento letterario, o comunque costituiscono un’interrogazione profonda sulla letteratura, gli intermezzi senza titolo che compaiono rapsodicamente tra le storie, dove l’apparente chiamata in causa del lettore si svincola dalle topiche consolidate per interrogarsi a tutto campo sulla lettura (e, in un secondo momento, anche sulla scrittura), cercando, al tempo stesso, di non impedirne mai la jouissance, il godimento.

A tal proposito, un’altra sicura dominante è il comico, dispiegato non di rado verso i territori grotteschi della deformazione e della scatologia o anche verso una torsione espressionista della lingua che le Storie di Inglese condividono, pur con esiti diversi e peculiari, con gli altri titoli della collana sconfini, ossia Fischi per fiaschi di Giorgio Mascitelli e I pruriti del giovane Letale di Paolo Gentiluomo. Una vena comica che si infiltra anche nelle “storie” apparentemente meno giocose, come ad esempio nella “Storia con cadaveri”, in cui ci si imbatte in un incipit, di primo acchito, raggelante: «Siamo stati particolarmente puntuali, perché appena siamo arrivati dentro erano tutti morti», per poi attraversare varie tonalità dell’umorismo – come ad esempio in questo passaggio, atto a decostruire un cliché del linguaggio (o per meglio dire della neolingua) oggi egemone: «Altri ancora si sono ammazzati, ma con un atteggiamento, diciamo, costruttivo» – fino alla punch line finale: «Hanno affrontato le difficoltà di petto, in modo radicale. E hanno portato a casa molto. Molto tranne la pelle, ha detto poi qualcuno».

Humour noir, se si vuole, che caratterizza molte delle Storie di Inglese, ma che contiene, soprattutto, una qualità delusiva che è la stessa, in termini generali, della letteratura: anche esplorandone, con grande godimento, le zone più marginali, bisogna infine conservarne un’idea disincantata, come quella veicolata, in modo mirabile, dalla conclusione dell’ultimo intermezzo, nel libro: «Pensi che avessi davvero avuto, io, voglia di scrivere robe così, con parole tali e quali a quelle che sono venute fuori? Eppure le abbiamo ascoltate assieme. […] Non erano quelle che tu volevi dire né quelle che io volevo trascrivere, ma sono proprio queste. Da qualche parte sono uscite. Ruvide, spiacevoli, praticamente inutilizzabili».