Arrivare alla fine dell’ultimo inedito tradotto di uno degli scrittori che ami di più ha il sapore di una separazione, di un abbandono. Il fatto che puoi sempre andare a rileggere i suoi testi, o almeno quelli che sono per te fondamentali, è una magra consolazione solo in parte alleggerita dal fatto di averlo scoperto. Della sua pubblicazione in Italia dobbiamo ringraziare Mattioli 1885 e il suo traduttore, Nicola Manuppelli, che dal 2009, anno della pubblicazione dello straordinario Non abitiamo più qui, ci hanno regalato, a cadenza quasi annuale, tutti gli scritti dell’autore statunitense. Che questo suo testo coincida col primo libro pubblicato potrebbe sembrare una contraddizione: era il 1967, e Il tenente è e rimarrà l’unico romanzo che successivamente rinnegherà. Dopo la lettura si è portati a chiedersi il perché di questa decisione così radicale, per un romanzo decisamente al di sopra della qualità media di parecchi altri esordi, con l’unico neo di un finale non all’altezza del resto. Il motivo, probabilmente, potrebbe essere individuato in queste parole dell’autore: “Poter scrivere in modo indipendente è ciò che mi permette di affrontare il mio lavoro ogni mattina. Se dalla scrittura dipendessero le mie condizioni di vita così come le aspettative di un grosso editore, dubito che riuscirei ad andare avanti. Come i poeti, noi scrittori di racconti viviamo in un mondo più sicuro. Non dobbiamo venderci a nessuno, non dobbiamo affrettarci a scrivere per nessuno; il nostro solo debito è contro noi stessi e verso quelle storie che vivono da qualche parte, dentro di noi, fino a quando non decidiamo di metterle per iscritto”.
Tornando al romanzo, siamo a metà degli anni Cinquanta, a bordo di una portaerei, la Vanguard, di settemila tonnellate di stazza e con un ponte di volo di trecento metri. Il giovane primo tenente Dan Tierney è a capo del distaccamento di marines presente: fanteria di marina d’eccellenza delle forze statunitensi, sono sempre stati visti con un misto di rispetto e invidia ricambiato con un sentimento di malcelata superiorità. La portaerei sembra replicare, come un microsistema, la società americana dell’epoca e non solo: il raggiungimento di uno status superiore sembrava, così come oggi, il mezzo per affermarsi come individuo. Ambiente maschilista fino a rasentare la misoginia, i rapporti tra le reclute nascono solo per interesse o per affermare la propria forza, l’orgoglio di sentirsi superiori e migliori è palpabile, e il nonnismo viene permesso dai superiori perché strumento per “svezzare” i nuovi commilitoni; tutto viene considerato lecito fino a quando gli atti di vessazione sul soldato scelto Ted Freeman, che fin dai tempi della scuola ha subito atti di bullismo, non si macchiano dell’ombra dell’omosessualità. È allora che il vaso si scoperchia perché la virilità e il buon nome dei Marines non possono essere messi in discussione. Il tenente Tierney cerca di tener fuori il soldato Freeman dai provvedimenti disciplinari che verranno presi contro i colpevoli, certo che si tratti solo di una vittima delle circostanze, ed è combattuto tra non disonorare il nome dei suoi soldati e il senso giustizia.
È il falso perbenismo e l’ipocrisia dell’uomo che Dubus mette sotto la lente d’ingrandimento, con una storia scritta con uno stile in cui si vedono tutte le potenzialità e i temi di uno dei migliori autori di short stories: risultano così evidenti proprio perché si conosce il percorso letterario successivo dell’autore e per questo non è stato sbagliato scegliere di tradurre il suo primo testo solo adesso. Le difficoltà dell’amore, sia a distanza o meno, unico strumento di riscatto di una vita altrimenti senza scopo, il senso del dovere che a volte si scontra con la propria etica, il rimpianto, il tradimento, l’omertà e il senso di impotenza sono argomenti che lo scrittore statunitense affronterà lungo tutta la sua carriera. Questo libro chiude (purtroppo) il cerchio su un autore che ci ha regalato momenti letterari e umani memorabili, introspezioni in cui l’animo e il sentimento umano vengono messi a nudo senza compromessi o scorciatoie. Sfortunatamente ci ha lasciati troppo presto.