Stefan Zweig, Opportunismo. Il nemico universale, tr. Marco Licata, pp. 92, Piano B edizioni, euro 10 stampa, euro 4,99 ebook
Nove saggi sul sonno della coscienza che genera mostri, scritti tra il 1914 e il 1941, dallo scrittore più cosmopolita e sapiente della Mitteleuropa. Poeta, filosofo, ricercatore, traduttore, autore di numerose monografie, narratore di enorme eleganza e capacità introspettiva, Zweig vive intensamente, da grande viaggiatore, a cavallo di due epoche.
«Sono stato contemporaneo delle due più grandi guerre dell’umanità, e le ho anzi vissute su un fronte diverso, la prima su quello tedesco, l’altra su quello antitedesco» scrive nell’imprescindibile autobiografia Il mondo di Ieri, di cui questi brevi interventi sono appendice necessaria.
Nel saggio che da titolo all’opera, Zweig identifica nell’opportunismo «il nemico più pericoloso dello spirito». In un’epoca (1920) in cui «le opinioni trionfano sulle convinzioni; la chiacchiera, sulla conoscenza» si assiste al disinvolto trasformismo degli opinionisti: «Annacquatori di ogni idea», «patrioti di ogni vantaggio», «opportunisti del momento», «parassiti del successo».
Da un lato l’opportunismo dei politici, dei letterati, dei leader, «preoccupati solo delle prossime elezioni. Dall’altro l’opportunismo del popolo stesso che per la prima volta non si vedeva umiliato, bensì ammirato e incensato da tutti questi elementi egemoni, ha completato la tragedia.»
«La monotonizzazione del mondo» (1925) ci mostra il lavaggio del cervello operato dalla religione dell’intrattenimento:
Al cristianesimo e al socialismo sono occorsi secoli e decenni per conquistare i loro seguaci, per fare rispettare i loro comandamenti su un numero di persone pari a quelle che oggi un qualsiasi sarto parigino riesce a schiavizzare in otto giorni… In tutti questi mezzi di meccanizzazione dell’umanità c’è un potere enorme… offrire svago senza esigere impegno…
Le categorie percettive sono idealizzate, manipolate. Una forma di olocausto dei sensi, caricati di bisogni non necessari. «L’inizio della conquista d’Europa da parte dell’America» votata al consumo, oggi sotto il sacramento della globalizzazione, non può essere fermata. Ma non denuncia soltanto, l’uomo libero Zweig. Individua magnifiche vie d’uscita.
«Il Mondo Insonne» (1914) è come un’amara poesia. «L’umanità è schiava notte e giorno di questa febbre» È la guerra che avanza, una guerra mai vissuta prima. «Nessuno ha il diritto di dormire tranquillo nell’enormità del sommovimento… il sogno più orrendo dell’umanità: la guerra di tutti contro tutti.»
«Visita agli spensierati» (1916) ci riporta allo stile sublime delle sue numerose novelle. I ricchi – gli spensierati – quelli per cui Tenera è la Notte, che alloggiano al Grand Budapest Hotel, «trasportati dall’onda dorata della ricchezza … Sono fuggiti dai loro paesi, dal pericolo e dai piccoli fastidi. Le leggi li mettevano in imbarazzo, l’invidia pestava loro i piedi e gli spensierati amano solo l’invidia degli altri spensierati, non quella degli oppressi». Si rifugiano a Saint Moritz, negando lo strazio della guerra che imperversa nel mondo. Loro ballano nei loro abiti scintillanti, ebbri di vita perfetta. Il divertimento li droga dalla conoscenza della realtà. «E non hanno padri né fratelli né mariti che muoiono… Mentre vedove siedono rattrappite in tutte le case del mondo.» Tanta disumanità richiama l’ammonimento del profeta Daniele e il verso di Dante: «Non vi si pensa quanto sangue costa».
«La storia è giusta?» (1922) e «La tragedia dell’oblio» (1919), dicono la sconcertante “necessità” di tornare in guerra, appena fatta la pace. Occorre diffidenza nei confronti della Storia: «in superficie incorruttibile, è funzionale alla diffusa propensione umana per la leggenda e il mito», esaltando i Vincitori per dimenticare i Vinti; alimentando nell’uomo il culto del successo. Quanto all’oblio, Zweig conosceva personalmente Freud e i suoi studi sulle pulsioni e l’inconscio. L’oblio si manifesta come fuga dalla coscienza, desiderio di inebetimento, che «se mancasse il misterioso senso dell’oblio, il ciclo della storia sarebbe terminato da tempo, figure come Cristo e Budda avrebbero concretizzato le loro dottrine e la concordia dell’umanità avrebbe smesso di rappresentare un sogno.»
«La Storia di domani» (1939) è una lucidissima analisi delle cause che portano alla guerra. Sottoporre l’organismo ad un narcotico, quale diventò la propaganda, è quasi impossibile. Ma è nell’educazione scolastica che Zweig individua i «semi di tutti gli istinti velenosi che hanno contribuito ad ammorbare la nostra epoca.» Al tema dedica molto spazio ne Il mondo di Ieri, regalandoci riflessioni avanguardiste sull’inadeguatezza della scuola. Nel saggio propone nuovi modelli storiografici, «come stadio preparatorio e creativo di una futura epoca migliore, la propedeutica di una nuova umanità.»
«In quest’ora buia» (1941) contiene il commovente messaggio di solidarietà per gli scrittori tedeschi in esilio, pronunciato da Zweig a New York pochi mesi prima del suicidio, in Brasile.
La sua parola è sempre positiva, anche nell’analisi più dolorosa. Fino a quando ha potuto, ha lavorato per scrivere la storia di domani, come storia dello sviluppo della civiltà. Sempre all’insegna della libertà interiore. Unica forma di possibile creatività, che lui, da grande artista, ha magistralmente perseguito.