Megan Mayhew Bergman è una figlia del Sud americano trapiantata nel New England. Del bacino culturale d’origine conserva una particolare attitudine all’universo pastorale e naturalistico, che si declina in Paradisi minori in modo assolutamente originale: ciascuna delle storie, in maniera incidentale o meno, ruota attorno alla presenza del regno animale nella vita umana. Che siano usati come metro di paragone per i rapporti sociali e affettivi sempre complicati che Bergman mette in scena o come concreta presenza attoriale, gli animali in questo libro rubano spesso la scena alle protagoniste tormentate che lo animano.
Una gioia per qualsiasi lettura di stampo ecocritico, Paradisi minori è anche un libro decisamente post-umano; meglio, non-antropocentrico, ottica confermata dal titolo originale, Birds of a Lesser Paradise (uccelli di un paradiso minore). Tra la storia di una figlia che cerca la voce della madre deceduta nel pappagallo che questa possedeva, e una coppia di ambientalisti fondamentalisti favorevoli al cosciente annientamento della razza umana tramite la rinuncia alla riproduzione che scopre di aspettare un bambino, è sempre il contatto con la dimensione più primitiva e animale dell’animo umano a fornire il sottotesto alla narrativa.
“Procederemo ora a esaminare in maggior dettaglio il principio della Lotta per l’Esistenza”, annuncia Darwin dall’epigrafe, promessa mantenuta in ciascuno dei racconti successivi, nei quali assistiamo alle piccole ma significative ordalie dei personaggi (quasi esclusivamente femminili), tutti impegnati ad affermare, nel bene e nel male, il loro posto all’interno degli equilibri della biosfera. La monotonia degli intrecci è in fondo giustificata proprio da questo palinsesto archetipico, e non credo sia azzardato considerare Paradisi minori come una serie di variazioni su un tema principale.
Più che musicale, però, la struttura del libro è, ancora una volta, debitrice alla biologia – è come se ciascuno dei racconti fosse un capitolo di uno studio scientifico dedicato all’etologia delle diverse possibilità offerte all’animale-uomo. Nella rassegna di dubbi, dolori e frustrazioni che accompagnano il libro, una forte componente sentimentale indica però sempre nell’amore (declinato in ogni sua possibile forma) l’unica via verso il conseguimento di un livello di coscienza superiore che, coniugando l’individuo e la specie (le specie, forse) riesca a ristabilire lo sguardo olistico tipico della visione pastorale del Sud degli Stati Uniti e di forme più primitive di socialità. Una tassonomia della vita contemporanea che, rispecchiandosi nell’alterità animale, si redime attraverso l’amore feroce ma spesso incondizionato di quest’ultima.