L’essenzialità e la sintesi sono doti letterarie indispensabili per scrivere un bel romanzo: il lavoro di sottrazione è molto più impegnativo e importante dell’aggiungere. Viene spesso spontaneo, a chi scrive, indugiare inutilmente su una frase o un concetto per paura che il lettore non comprenda.
Non è il caso di Gilberto Severini, scrittore raffinato e riservato, che per decenni ci ha accompagnato con i suoi scritti attraverso le trasformazioni sociali del nostro tempo. Il movimento del sessantotto, l’avvento della tecnologia, l’evoluzione della comunicazione e dell’informazione, oggi immediate, hanno scavato un solco nelle abitudini, nella psicologia, nell’espressione delle pulsioni sessuali. Sembra passato un secolo, è vero, e oggi l’attesa è uno spazio che gradualmente è scomparso. Nel suo ultimo lavoro, Dilettanti, edito da Playground, una casa editrice che si è sempre distinta per scelte di qualità, Severini segue queste trasformazioni, dagli anni cinquanta in poi, cominciando dalle riunioni nella sala che il parroco concedeva ai ragazzi per suonare, passando per gli spettacoli pomeridiani nei cinema di provincia, ambienti usati anche per il sesso solitario in gruppo, fino alle chat e ai filmati erotici oggi così facilmente fruibili.
Un gruppo di amici, timidi e riservati, si frequenta, si ama, si perde, si ritrova: invecchiano ma non maturano, e le loro inclinazioni sessuali non sono altro che speculazioni per narrare il loro percorso emotivo e sessuale. Se Sergio scopre molto presto di essere gay innamorandosi di Giulio, il suo migliore amico, gli altri mantengono nei confronti del sesso quella pudicizia che la società e la Chiesa imponevano. Il sesso come cosa sporca, da nascondere, sicuramente da non esibire. Ma tra la fede e l’amore si sceglie l’amore, anche se sai che non si trasformerà mai in rapporti fisici, anche se sai che dovrai fronteggiare un senso di colpa che, in qualche modo, vorrai scontare. Forse per questo l’amore impossibile è quello più rassicurante. È la provincia il teatro di Gilberto Severini, quella provincia che oggi, con la tecnologia, è diventata centro. Siamo sempre connessi, sempre rintracciabili, parliamo di noi e leggiamo degli altri nei social. Non sappiamo più qual è la vita vera e forse non c’interessa: la rete ci dà la possibilità di vivere tante esistenze parallele e personalità alternative.
Chi ha la fortuna di conoscere lo scrittore marchigiano o ha partecipato a una delle sue rare apparizioni pubbliche sa quale cultura possiede. Severini detesta la superficialità e l’approssimazione, per questo lavora in maniera quasi ossessiva alla revisione dei testi: il suo lavoro di sottrazione è implacabile, il superfluo inesistente, le parole si succedono come note di una sinfonia con una estrema cura per i dettagli. Il tono è sempre apparentemente leggero, come un sussurro. Non è possibile trovare passaggi memorabili perché lo stile di Severini è sempre omogeneo e ricercato, di spessore qualitativo superiore. Bastano due tocchi, poche parole per definire una situazione o uno stato d’animo.
Scrittore amato dagli scrittori, da un pubblico di lettori che non si accontenta, è l’esempio di un autore che non ha mai cercato la ribalta né di gratificare il lettore con facili ammiccamenti. Gilberto Severini non scrive per il successo, forse per questo ha coltivato un talento difficilmente eguagliabile e scritto pagine memorabili di letteratura italiana.