Si sarebbe potuto parlare di questo romanzo anche nella nostra rubrica Opera prima, perché, sebbene pubblicato negli Stati Uniti un anno dopo Musica per archi e canguro, uscito nel 1995 (ma apparso in Italia solamente nel 2002), era stato scritto per la maggior parte prima di Musica…, come spiega lo stesso Lethem in un’intervista pubblicata nel numero 87 di PULP Libri (settembre-ottobre 2010). Però in Italia Amnesia Moon ha avuto una vita piuttosto sventurata, essendo stato tradotto (da Martina Testa) e pubblicato da minimum fax solo nel 2003, e discretamente ignorato dal pubblico e dalla critica (con qualche eccezione), talché in questo momento è da lungo tempo fuori stampa; e come altri libri immeritatamente dimenticati, è giusto parlarne in questa sede, in quanto oggetto di scavo archeologico.
Amnesia Moon, è stato molto meno sventurato nel mondo di lingua inglese: attualmente è disponibile nell’edizione di Faber & Faber, e scusate se è poco. Si tratta di qualcosa di più di un’opera giovanile di uno scrittore che sarebbe maturato più tardi, all’altezza di Brooklyn senza madre (Il saggiatore, 2008), se non di La fortezza della solitudine (Tropea, 2004); è invece un romanzo che merita attenzione e considerazione di per sé.
Cominciamo dalla prima parola del titolo, e cioè amnesia. Nel 2000 Lethem curò una miscellanea di racconti e altri scritti, The Vintage Book of Amnesia, tutti accomunati, come recita il sottotitolo, dal soggetto della perdita di memoria. È una ricca antologia, con un bel parterre: Martin Amis, Cortázar, Sheckley, Borges, Woolrich, Sacks, Dick, Murakami, Anna Kavan, Disch, Barthelme, Priest, Nabokov, Steve Erickson. Lethem dimostra di non essere solo uno scrittore dotato ma anche un attento e vorace lettore. Nel libro sull’amnesia compare anche un suo racconto, “Five Fucks”, titolo che la traduzione “Cinque scopate” non rende completamente (da noi è uscito nella raccolta L’inferno comincia in giardino, minimum fax, 2001). Si tratta di uno di quei testi onirici e folgoranti nei quali l’immaginazione di Lethem si manifesta allo stato puro e ci ricorda che le sue origini stanno nel fantastico e nella fantascienza, dai quali la sua narrativa lunga si è gradualmente allontanata. Nel racconto gli amplessi di due amanti occasionali hanno conseguenze catastrofiche: trasformano il mondo attorno a loro, e cancellando al tempo stesso il ricordo di come era prima del cambiamento, con una vera e propria amnesia collettiva. Tutt’altra cosa dall’amnesia classica che troviamo in Io ti salverò di Alfred Hitchcock (basato sul romanzo omonimo di Frances Beeding, Il saggiatore, 2015), dove la memoria l’ha persa un solo personaggio e sta agli altri di ricostruirla; in “Cinque Scopate” solo due personaggi, E. e la signorina Rush, ricordano il mondo com’era prima delle loro cinque congiunzioni sessuali; tutto il resto dell’umanità, incluso il benevolo ma impotente poliziotto Pupkiss, hanno dimenticato come stavano le cose prima, e credono che il nuovo mondo, per strano e assurdo che possa essere (e nelle ultime due parti Lethem pesta forte sul pedale dell’assurdo e dello strano) sia sempre stato così.
Amnesia Moon, se possibile, è ancor più radicale di “Cinque scopate”: in questo romanzo tutti soffrono di amnesia, tranne (forse) un motociclista di nome Fault, del quale però non c’è da fidarsi più di tanto (lo dice il suo cognome, che in inglese significa “difetto, sbaglio, colpa”). A partire dal protagonista, Chaos, tutti i personaggi di Amnesia Moon hanno scordato chi erano e com’era il mondo prima di una misteriosa catastrofe che ha scombussolato tutto; misteriosa appunto perché nessuno ricorda bene in cosa sia consistita e cosa l’abbia provocata. Chaos stesso all’inizio della storia ignora di chiamarsi (o di essersi chiamato) Everett Moon (ed ecco spiegata la seconda parte del titolo); ha dimenticato anche il suo migliore amico, Cale Hotchkiss, nonché la donna che amava, Gwen. E non riesce a rammentare com’è finito a Hatfork, in Wyoming, e come mai il mondo è stato frammentato in tante piccole isole di realtà come quella dove si trova, misera e affamata a causa (forse) di una guerra nucleare, dove la gente sopravvive nutrendosi di cibo in scatola. Ma appena ci si sposta in un’altra realtà, come quella di White Walnut, il disastro prende altra forma: qui nessuno ci vede più perché una fitta nebbia verde si è infiltrata dappertutto. A Vacaville, invece, la gente trasloca due volte la settimana, e vige un regime nel quale il peggior delitto è essere sfortunati; ci si deve sottoporre a un test, e se superi un certo livello di iella vieni rinchiuso in un apposito campo di concentramento; e la gente comune passa il tempo a vedere serie televisive i cui protagonisti sono i governanti della città (come se noi dovessimo vedere ogni sera le avventure di Salvini e Di Maio – o forse lo facciamo già?).
In ognuno di questi micro-mondi, estesi più o meno quanto un centro abitato più il suo territorio comunale, vigono diverse leggi fisiche e circola una diversa versione della catastrofe che ha spezzettato il koinos kosmos; quando Chaos/Everett torna a Vacaville diventa mostruosamente grasso dalla sera alla mattina perché ora in quella realtà solo i governanti hanno il diritto di essere belli; tutti gli altri cittadini devono essere nani, storpi, obesi, deformati in qualche modo. A White Walnut, invece, deve aggirarsi per la città a tentoni, come un cieco.
Ma la faccenda è ulteriormente complicata dalla presenza dei sognatori: si scopre ben presto, leggendo Amnesia Moon (per cui possiamo dirlo tranquillamente), che ogni micro-mondo, o realtà finita soggettiva (come vengono chiamate a un certo punto nel romanzo) è fatta in un certo modo perché così la sogna ogni notte un individuo che ha il singolare potere di alterare la realtà e condizionare la vita delle persone circostanti mediante la sua attività onirica. Questa idea Lethem l’ha presa quasi certamente da uno dei più bei romanzi di Ursula K. Le Guin, La falce dei cieli. Ma leggendo quest’opera solo apparentemente d’apprendistato di materiali fantascientifici se ne trovano tanti, ed è anche per questo che vale la pena di leggerla, per capire da dove viene Lethem. Una delle realtà finite soggettive, descritta da una donna che Chaos/Everett incontra a San Francisco, è una sorta di immagine neanche tanto deformata di Cronache del dopobomba di Philip K. Dick; altrettanto dickiano il tema del protagonista sofferente d’amnesia (lo troviamo in Tempo fuor di sesto), che a sua volta Dick aveva ereditato da A.E. Van Vogt, quello di Slan e di Non-A; e il personaggio di Gwen ricorda non poco quello di Hari in Solaris (più il film di Tarkovskij che il romanzo di Lem). Del resto, in una delle realtà finite soggettive generate dalla frammentazione del mondo condiviso, coincidente con Los Angeles, è in corso un’invasione da parte di alieni telepatici che ricorda parecchio Il terrore della sesta luna di Robert A. Heinlein.
La parcellizzazione della realtà in una miriade di sogni che tendono ad assumere connotazioni da incubo (idea che in ultima analisi deriva pur sempre dagli universi che cadono a pezzi di Philip K. Dick, da L’occhio nel cielo alle Tre stimmate di Palmer Eldritch) da un lato riflette il modo in cui Lethem stesso ha costruito il romanzo, visto che nell’intervista già citata ha dichiarato che “Amnesia Moon è fatto di spezzoni di scrittura – racconti e cose che non sono neanche riuscite a diventare racconti – scritti quasi tutti prima o durante la stesura di Concerto”. Ma riflette anche un paese come gli Stati Uniti, frammentato in diverse etnie (talvolta ghettizzate, quindi circoscritte in spazi chiusi), diverse religioni (che a loro volta possono formare comunità piuttosto chiuse, come i mormoni o i Lubavitcher), sottoculture (dagli Hell’s Angels alle gang giovanili), diversi paesaggi e climi (dalla tropicale Florida al desertico Nuovo Messico al nordico e gelido Maine alle Hawaii). Infine, lascia briglia sciolta all’inesauribile inventiva di Lethem, mai scatenata come in questo romanzo.
Però in questi giardini immaginari possiamo trovare, per metterla nei termini di Marianne Moore, rospi reali. Chaos/Everett, Edie (la sfortunata donna di Vacaville, la città dove la sfiga è reato), Melinda la ragazza con la pelliccia (autoprodotta), Cale Hotchkiss e suo padre Ilford, che si odiano perché troppo simili, nonché Fault ed Edge, due autentici loser all’americana, tutti i personaggi principali sono credibili pur nella loro assoluta stranezza, un po’ come quelli dei fratelli Coen (e hanno nomi a dir poco bizzarri, una scelta di Lethem che ritroveremo in tutta la sua produzione, una sorta di marchio di fabbrica). L’interazione di questi personaggi, che avviene soprattutto tramite dialoghi pirotecnici (qui come nei successivi romanzi del nostro), può essere comica o tragica ma è sempre convincente: anche quando qualcuno diventa un orologio da tavolo, oppure deve iniettarsi il proprio migliore amico per potergli parlare. Soprattutto l’amnesia generalizzata innesca situazioni estremamente drammatiche, nelle quali ogni incontro è al tempo stesso un enigma e una potenziale minaccia. Ne scaturisce una suspense che rende difficile staccarsi dalla pagina, ma anche uno singolare intensificazione degli stati d’animo, dei gesti, delle parole. La catastrofe che ha azzerato tutte le memorie non è una trovata fine a se stessa, ma uno specchio deformante che in qualche modo ci fa guadagnare prospettive diverse sul nostro mondo condiviso (com’era nelle migliori pagine del maestro di Lethem, Philip K. Dick).
Andare a recuperare questo romanzo di difficile reperibilità è un modo per vedere un altro lato di uno scrittore che, pur essendosi allontanato dalla fantascienza degli esordi, è riuscito a conservare, nei suoi momenti più interessanti (e sono parecchi), lo sguardo straniante proprio di quella forma di letteratura. E leggendo Amnesia Moon viene voglia di vedere nuovamente lo scrittore americano addentrarsi nelle terre del fantastico, così come il suo ultimo romanzo, The Feral Detective, lo ha riportato nella California dei suoi esordi narrativi. Riassumendo: tutt’altro che un romanzo d’apprendistato, questa storia tra il fantascientifico, il surreale e la vita vissuta ci presenta già ben riconoscibile l’autore de La fortezza della solitudine, di Chronic City (Il saggiatore, 2011), di Brooklyn senza madre, e soprattutto di Ragazza con paesaggio (Tropea, 2006) – altro romanzo quest’ultimo vergognosamente fuori stampa. Ne parleremo un’altra volta.
Di Jonathan Lethem la nostra Rivista già si è occupata con un’anteprima sull’ultimo romanzo, uscito l’anno scorso negli Stati Uniti e ancora inedito in Italia, The Feral Detective.