George Saunders, Lincoln nel Bardo, tr. Cristiana Mennella, Feltrinelli, pp. 347, euro 18,50 stampa, euro 9,99 ebook
Si è molto parlato di questo primo romanzo di George Saunders, pluripremiato autore di racconti texano (due volte National Magazine Award, PEN/Malamud Award), e in effetti Lincoln nel Bardo è un libro denso e interessantissimo. Il Bardo del titolo è stato preso in prestito dal Libro tibetano dei morti, e indica il luogo, sospeso tra la nostra realtà e l’aldilà, nel quale stazionano le anime ancora troppo attaccate alle loro vite. Un limbo popolato di fantasmi che oscilla continuamente tra la pace purgatoriale e un girone infernale popolato di demoni tentatori, il Bardo straripa di personaggi di ogni tipo: preti, prostitute, soldati, razzisti incalliti, ubriaconi, bambini, cacciatori. Tutti ignorano di essere ormai deceduti. Si definiscono malati, caduti, in attesa che qualcuno li guarisca o li ritrovi e permetta alle loro vite spezzate di proseguire.
Come da titolo, però, il personaggio-chiave del romanzo è Lincoln. Anzi, i Lincoln: Abraham, sedicesimo presidente degli Stati Uniti, e Willie, il figlioletto morto appena dodicenne a seguito di una febbre tifoidea. L’elemento più interessante e più problematico di Lincoln nel Bardo è la sua struttura: il limbo ci viene presentato attraverso il fittissimo intrecciarsi dei pensieri dei suoi abitanti, le cui voci si accavallano spesso caoticamente, offrendoci un caleidoscopio di osservazioni e punti di vista attraverso i quali è possibile ricostruire la vicenda.
La situazione nel mondo reale, invece, traspira da una ricca serie di “citazioni”, autentiche o create ad hoc, da epistolari, diari, resoconti storici e memoir che mostrano opinioni spesso affatto contrastanti sul presidente e sulla guerra civile appena iniziata. Lincoln uomo di cuore e Lincoln macchinatore ambizioso e spregiudicato coesistono, e Saunders è indubbiamente ambiguo nel descrivere un uomo sensibile, distrutto dal dolore, e un presidente ferocemente deciso a punire i ribelli del Sud.
Favola onirica, escatologica (non di rado anche scatologica) e filosofica, Lincoln nel Bardo è però anche un romanzo politico tutto statunitense. Impossibile non tracciare un parallelo con la situazione attuale, con un’America divisa, sospesa in un limbo d’ignoranza più o meno colpevole, incapace di accettare il tramonto delle proprie master narratives. In questo senso, Lincoln nel Bardo si legge come uno sguardo retrospettivo e malinconico all’universalismo e al multiculturalismo originari americani, una chiamata all’unità e all’umana compassione. Saunders tende idealmente al romanzo-mondo, e ottiene una sorta di Moby Dick distillato in un’Antologia di Spoon River postmoderna.