La guida delle anime versodove, in direzione di ogni gravità presente nell’universo (e dunque sulla Terra), passa per le inesauribili capacità mentali di Amélie Nothomb, profonda procuratrice delle versatili e multiple cognizioni umane. Lo sappiamo e lo sa chi ama la scrittrice lungo le annuali uscite editoriali a cui ci ha abituato. Psicopompo, trentaduesimo romanzo, contiene cose laceranti e un improvviso e ininterrotto viaggio verso la casa che, per un certo periodo di tempo, fu il bazar orientale a cui Amélie venne condotta dalla famiglia, dal padre diplomatico. Giappone, Cina, Bangladesh. Il ghiaccio dentro l’anima e il corpo di Nothomb, dopo la violenza subita sulla spiaggia di Cox’s, si scioglierà con l’amore aviario – da sempre in primo piano, fin dalla prima fanciullezza – portato nella maturità, e con la letteratura perché capisce da subito quanto affermava Kafka in tutt’altra parte del mondo. La scrittrice affronta e risolve la condizione ostile, nel profondo degli enigmi insiti nella scrittura – e nella sua, in particolare.
Dall’amore per gli uccelli, presente in ogni angolo di mondo da lei vissuto (anche a New York, per un certo periodo), a “diventare lo psicopompo di Cristo”, l’ambizione viene estremizzata con risultati a dir poco segnati in linea retta dal mito. L’impresa di Sete, salendo al luogo della croce, fa il paio con Primo sangue, dove la biografia avvicina il padre ai paesaggi conturbanti dell’infanzia. Una sorta di trilogia della “morte”, tanto che la discrezione cede a una diversa presa di possesso della mitologia dalla scrittrice raccolta come frutti sull’albero o già caduti a terra. E, su tutto, il dialogo continuo anche col padre morto, che non cambia carattere rispetto al vivo. Un’ovvietà forse, ma bisogna avere anima guerriera (in più, amabile) per rendersene conto. Durante il lockdown, quando Amélie e noi con lei avremmo voluto vincere le difficoltà del volo (per gli uccelli è una fatica quotidiana, ma combattuta e superata ogni volta), suo padre muore e durante la scrittura, poco tempo dopo, si apre il dialogo e i messaggi varcano la soglia. L’intimità irrompe, necessaria almeno quanto l’osservazione del volo degli uccelli, dai comuni ai più rari, segnando tutta l’esistenza della scrittrice di Kobe. Vestale sì, in una parte di mondo che ha perduto il sacro e insegue funesti riti – e per questo figura in grado d’esserci compagna nella resistenza a coloro che distruggono la storia.