Tutti i tempi del mondo confluiscono – per la maggior parte della vita di un uomo e di una donna – negli incontri, nella varietà di gradi d’intimità, di rango, di venerazioni e irriverenze, fin sull’orlo del pettegolezzo o peggio. L’avventura del ritratto, se coniugata nel sistema della vita adulta e nella somma di molteplici legami, ha la tendenza a diventare regressiva, ma se l’autore ha dalla sua parte l’opulenza dei ricordi e la benevolenza di una prosa disinvolta e abbondante, il gioco porta a amabili conseguenze. Senza illudersi d’inseguire la miglior fabbrica della prosa – che di questa i proprietari continuano a essere, senza ombra di dubbio, l’Arbasino “competente”, il Longhi “miglior fabbro” e il Manganelli “concupiscente” –, non sembra difficile imbattersi nel libro pieno di risorse consegnato da Alvar González-Palacios ai nostri affanni di pellegrinaggio nelle esistenze di famosi e meno famosi, presenti e remoti nelle anse epocali del Novecento.
L’aristocrazia, la grazia e la disgrazia sono all’ordine del giorno in queste pagine che seminano flash e luci iodiche in esistenze che si sono incrociate, e che non sono più di questo mondo. Impressionano la quantità di immagini e immaginari, di sapidi gestori di finanze, arti, prosopopee, privilegi, di ranghi omosessuali e eterosessuali, in un tempo che sembra sciogliersi come si fosse entrati nel mezzo di una seduta spiritica. E poi c’è la sapienza dell’autore, che ha incontrato tutti e che di tutti ora mescola gli anni in un andirivieni continuo dove si parla, si chiacchiera, si ama e si odia (ammesso il divertimento) come se la vita ancora continuasse a occuparsi degli organi, delle menti e soprattutto dei vantaggi materiali fin lì accumulati.
Critici d’arte, studiosi, collezionisti, mercanti, un florilegio di donne, nobiltà a manciate, posizionati da Alvar González-Palacios in un romanzo-fiume stipato di digressioni, di bellezza e mediocrità molto spesso radiografate con acutezza: passaporto alle mani e denaro la cui fatalità passa in secondo piano di fronte alla maestria narrativa che spande privilegio ovunque. La ricchezza degli incontri fa sì che la nostra idea su quanto succedeva, e oggi non è più, si espanda tanto da farci intendere la singolarità del paese in cui viviamo. Non è cosa da poco, in questo presente esausto dove al contempo tutto va bene e tutto va male.
Fuori i nomi: Bernard Berenson, Anna Banti, Federico Zeri, Roberto Longhi, Peggy Guggenheim, Mario Praz, Marella Agnelli, e un doveroso ecc.: decine di signore & signori diventano volentieri personaggi con verve e allure a manciate, allarmano e affascinano alla stregua di certi caroselli felliniani nella Roma provinciale e nella provincia capitolina dove campagna e mare s’incrociano geograficamente e nominalmente. Lo stesso autore, voglioso di verificare la propria biografia, riprende leggerezze e ilarità imparentate con l’arguzia intellettuale di molti, o l’intrattenimento ammiccante delle balere. La mondanità ha il suo candore, viene da dire. Mentre gli affari, in questa galleria di ritratti, sono roba trasfigurata in installazione artistica. González-Palacios, cubano d’origine e residente da decenni in Italia, mette la cronologia al servizio di nomi che non sono solo nomi ma artigiani della vita che hanno voluto l’arte, ogni volta fuori dall’ordinario e con scomodità esclusive. A noi, che vorremmo ma non possiamo, piace la sua prosa impeccabile, il suo voltarsi verso la scoperta rimessa in scena.