Quando leggere un romanzo diventa un’esperienza musicale, quando il ritmo delle frasi è tanto percussivo da ricordare una partitura, allora quel libro l’ha scritto Paolo Nori. Con o senza una “O” ad anticiparne l’ormai noto cognome.
Che poi, ammettiamolo: per quanto possa utilizzare uno pseudonimo, nella fattispecie candidamente scoperto e divertito, la pagina di Nori la riconosci. Ci fai l’orecchio. Può piacere e non piacere, d’accordo. Se ne possono tessere le lodi o massacrarla senza pietà, ma la sostanza resta: due righe e hai capito, immediatamente, con chi hai a che fare.
Si chiama stile. E con lo stile funziona così: o ce l’hai o non ce l’hai. Nori ce l’ha, fine dei discorsi.
Marco Pietramellara, protagonista e voce narrante di Fare pochissimo, è un giornalista che lavora nella redazione di Emilia Today, “il vostro quotidiano preferito”, e aspetta una chiamata che non arriva. Aspetta la chiamata di Nilde. I due hanno litigato, si sono forse perfino lasciati, e il tempo scorre lentissimo. Finché una chiamata giunge sospirata al destinatario, sì, peccato che di Nilde non si tratti affatto. Marco riceve una singolare telefonata, singolare quanto meno perché la persona che lo sta contattando si trova seduta alla scrivania di fronte. E chiariamoci: fra lui e la collega chiamante, tal Enrica Spadoni in Coltellini, non sussistono né relazioni adulterine, né frequentazioni amichevoli, nossignori. Eppure, quella stessa mattina, è lei a poggiargli sulla scrivania le chiavi di casa. Le aveva a quanto pare dimenticate la sera precedente in ufficio, ma si era dimenticato anche di averle dimenticate, tant’è che proprio quel mazzo di chiavi aveva poc’anzi costretto Pietramellara a chiederne la copia alla ex.
Cosa sta succedendo? Cosa c’è dietro questo inatteso cambio di ruoli, che trascinerà il nostro all’interno di una convulsa girandola di piccoli accadimenti, piccoli accadimenti che però, come tanti giri di vite, spingono sempre più verso il fondo l’esistenza di Marco, trasformando la sua vita in una sorta di rocambolesco noir.
Fra articoli di giornale dalle fonti non necessariamente autorevoli e una galleria di situazioni e personaggi serratissima e grottesca, con la risata pronta a sgorgare da un paragrafo all’altro, per poi zittirsi di fronte a un’affermazione terrificante, a un passaggio stupefacente, ai fuochi d’artificio che l’estro linguistico dell’autore fa continuamente crepitare nelle pagine di questo finto romanzo d’esordio di Paolo Onori, la storia si dipana passo passo e inibisce nel lettore che vi s’imbatte la capacità di rallentare la corsa all’ultima riga, dove finalmente tutto si risolverà.
Ma prima d’allora, sappiatelo: Fare pochissimo va letto d’un fiato – e la brevità dei molti capitoli che lo compongono vi aiuterà a credere di averci messo pure poco. In realtà quello che succede è ben altro. Perché?…
…perché se leggere un romanzo diventa un’esperienza musicale, se il ritmo delle frasi è tanto percussivo da ricordare una partitura, allora quel libro, chiunque l’abbia scritto, che sia un genuino esordio o un palese fake, vi caccerà nella testa una specie di bug. E vi ritroverete in men che non si dica a rifletterci, eccome. Riprenderete qualche capitolo, rivedrete alcuni passi che magari vi siete persi per strada, o non avete focalizzato a dovere durante la lettura.
Ed è lì che inizierete a leggerlo – e a capirlo – davvero. Solo una volta che il suono della scrittura di Nori vi sarà entrato nel sangue.