Franco Fortini, Verifica dei poteri, il Saggiatore, pp. 368, euro 24,00 stampa, euro 12,99 epub
Rileggere Verifica dei poteri mezzo secolo dopo la prima pubblicazione è come ritrovarsi nel bel mezzo di una distopia creata da Philip K. Dick in cui siano stati impiantati i meccanismi della Macchina del tempo. Quelli della mia generazione avvertiranno vieppiù il vuoto intellettuale in cui siamo piombati negli ultimi decenni. I giovani non capiranno nulla. Le eresie politiche e critiche, le ortodossie e il sacrificio di cui Fortini era imbevuto, saranno incomprensibili ai personaggi infestanti le patrie lettere, soprattutto ai sensibili oggi in voga, addetti alla zona oscura della poesia nostrana.
La verità, inchiodata quasi a ogni frase dei diversi capitoli di questi scritti di critica e istituzioni letterarie, prevede una preparazione morale, e perfino grammaticale, molto spesso vacante in quel che si legge nei numerosi libretti che infestano l’infinità di happy hour delle presentazioni negli eccitati locali di provincia, e ovunque nella rete. I tempi cambiano, la mente di Fortini (che Garboli definiva “bellissima” anche se non avrebbe voluto entrarvi per tutto l’oro del mondo), a 100 anni dalla nascita, detiene le divisioni antenate della sinistra, e l’antipatia congenita per certi poeti e scrittori che detestava. Ricordiamo che erano i tempi del pieno capitalismo, che le parole correnti erano stalinismo, leninismo e cortina di ferro. E che sopraggiungeva la neoavanguardia: a Fortini produceva interesse in proporzione al volume del suo proverbiale carattere collerico.
Le sue erano verità dure come il ferro. E si spargevano nelle riviste, che quello era ancora il periodo delle riviste letterarie e politiche (Menabò, Il verri, Quaderni Rossi, Quaderni Piacentini, Officina, Nuovi Argomenti). Le polemiche avevano durate semestrali o annuali, e si faceva in tempo a detestare o odiare uno scrittore come fosse da sempre o da lì in avanti il peggior nemico. Gli amici si vedevano in luoghi canonici, come Bocca di Magra, dove stazionavano nella bella e brutta stagione Sereni, Cesarano, Bonfanti, Vittorini, Montale, Soldati, in compagnia di Fortini e mogli e fidanzate, e fors’anche amanti. Il Posto di vacanza per eccellenza, riportato nel celebre poemetto di Vittorio Sereni, una delle vette poetiche del Novecento.
Ma i dubbi sul reale erano imperanti nella mente di Fortini, e anche la sua vicenda poetica lo mostra con forti evidenze. D’altronde la cultura europea sopraggiungeva a vigorose ondate, e proprio grazie a questi nomi, al metodo con cui letteratura sociologia e politica venivano fuse in una “scienza umana” che oggi sembra fantascienza.
Fra correnti e paradossi, nel groviglio di visioni in cui già appariva l’ombra fortissima di Pasolini, l’inesausto “luogo a procedere” di Fortini ha nel libro, ora giudiziosamente ripubblicato dal Saggiatore, la pronuncia migliore e fondante. Vi si trovano la partecipazione all’esistenza e i vuoti d’aria che ne contrastano lo sviluppo, che espongono allo sguardo la realtà sociale e civile del secondo Novecento. Dove l’uguale e il diverso erano ben presenti nella scena letteraria, dove la condizione della scrittura era materia primaria per chi avesse la pur minima idea di cosa voglia dire lavorare e agire in poesia e letteratura. A quel tempo, fortuna del Secolo, erano davvero molti i persuasi di tutto questo.
17 Novembre 2017