Il dilemma nelle biografie romanzate è sempre lo stesso: fino a che punto è lecita l’invenzione narrativa, e quanto il lettore si aspetta che il racconto sia aderente alla realtà? — a parte l’ovvia considerazione che esiste un’ampia gamma di soluzioni intermedie, che oscilla tra l’estrapolazione totalmente libera (del personaggio si mantiene solo un involucro esterno e gli si attribuiscono comportamenti, reazioni e pensieri moderni, e di conseguenza comprensibili a un lettore generalista) fino all’estremo opposto, cioè l’intervento fiction strettamente limitato a tutto ciò che non è possibile ricostruire da documenti, per così dire al “privato” del personaggio. Questa variabilità va quindi dall’estremo di un personaggio dal carattere così moderno che più moderno non si può, che si comporta come il protagonista di un film hollywoodiano o di un romance, e un personaggio totalmente immerso nel pensiero del suo tempo, che ci risulta tanto più alieno quanto più è distante nei secoli.
A questa scelta soggettiva dell’autore si aggiunge poi un ulteriore elemento: la disponibilità o meno di documentazione storiografica, che il buon senso ci dice inversamente proporzionale ai secoli che ci separano dalla vita dei protagonisti.
Il segreto di Ippocrate di Isabella Bignozzi, di professione medico con una passione per letteratura e storia antica, è più vicino al côté che ho definito “rigoroso”. L’argomento scelto è tra i meno frequentati dagli autori che scrivono di storia: la vita di Ippocrate, il grande medico vissuto tra il Quinto e Quarto secolo a.c. che ancora oggi viene considerato il nume tutelare della medicina moderna. Le fonti documentali su Ippocrate non son abbondanti, ma neppure inconsistenti, così l’autrice si è trovata davanti una traccia approssimativa di trama, oltre alla dicotomia di ogni scrittore che si impegna nella ricostruzione di uno spicchio di storia: tenere l’ambientazione e quei pochi punti fermi e poi inventare, drammatizzare, caricare con il melodramma, oppure…
Oppure no. La storia è una scienza, e della scienza condivide l’estetica, l’etica e la regola. Dunque Isabella Bignozzi ha fatto l’unica scelta concepibile per l’autore che non è interessato all’aspetto commerciale della scrittura, cioè entrare il più possibile nella mentalità dell’epoca e cercare di farci entrare anche il lettore.
L’espediente narrativo de Il segreto di Ippocrate è ben collaudato, un racconto-cornice in cui l’anziano protagonista detta al genero Pòlybos le proprie memorie. La narrazione si concentra soprattutto sull’adolescenza di Ippocrate e sulla sua prima maturità, più o meno fino a quando acquista indipendenza e la fiducia dopo la morte del padre, anch’egli medico — con un’interessante coda negli anni senili, una vera chicca nel romanzo. Di enorme interesse, sia letterario che scientifico, sono le descrizioni di interventi terapeutici, perfino chirurgici, con i mezzi a disposizione, e gli stupefacenti dettagli sulla medicina dell’epoca: una specie di punteggiatura che scandisce il tempo del romanzo, e che ne rappresenta i momenti più entusiasmanti. Isabella Bignozzi rende evidente il carattere pre-scientifico del pensiero di Ippocrate — perché il suo è un vero e proprio sistema di pensiero, non unicamente una pratica terapeutica, un sistema che raccoglie il meglio dell’esperienza trasmessagli dal padre e dell’insegnamento dei predecessori, ma aggiungendo una metodologia che oggi potremmo definire “protocollo”.
Altro aspetto di rilievo è il mondo antico che emerge dalle pagine del romanzo; i frequenti viaggi del protagonista tra le isole dell’Egeo e nella Grecia continentale permettono all’autrice di raccontare il carattere del tempo, scampoli di vita pratica ma anche grandi avvenimenti, come la peste in Atene durante la guerra del Peloponneso. Infine, nella sua parte terminale il romanzo regala a un appassionato come il sottoscritto un bonus di piacere. Mi riferisco ai capitoli meno aderenti alla documentazione storica, cioè l’età avanzata di Ippocrate, quando l’avventura letteraria sposa l’estrapolazione, e il protagonista si trova a percorrere le vie dell’Asia incrociando i destini dei despoti persiani e dell’armata di diecimila mercenari che Senofonte riportò in Grecia dopo la battaglia di Cunassa.