Alice Basso sceglie Raymond Chandler

Alice Basso è una bomba che sprizza energia da tutti i pori, concentrata in una personcina minuta. La sua simpatia così come il suo sorriso sono contagiosi, ed è fonte di continue sorprese e aneddoti curiosi da raccontare durante una chiacchierata. Mai ti aspetteresti tanto sprint da una scrittrice come lei, un fuoco d’artificio che sa coinvolgere all’istante. Altra nota a suo favore, ama il noir elegante di Chandler ed è proprio un brano con il detective Philip Marlowe che Alice ha scelto per Paragrafi d’autore.

Io cercai di tenermi in equilibrio, con le mani a terra. Ascoltavo.
“Sicuro, dev’essere andata così”, disse la voce.
Era la mia voce. Stavo parlando fra me. Cercai di afferrare la situazione.
“Taci, subcosciente”, dissi. E smisi di parlare fra me.
Lontano il ronzìo dei motori, vicino grilli e l’interminabile e-e-e delle rane. Quei rumori mi erano diventati antipatici.

Alzai da terra una mano e dopo aver cercato di pulirla dal fango la passai nell’interno del soprabito. Bel lavoro, per cento dollari. La mano mi andò alla tasca interna del soprabito. La busta azzurra non c’era, naturalmente. Le dita frugarono allora la tasca della mia giacca. Il portafoglio c’era ancora. Mi chiesi se c’erano ancora i cento dollari. Probabilmente no. Sentii un peso contro le costole a sinistra. Era la pistola nella fondina.

Bel gesto, questo. Mi avevano lasciato la rivoltella. Un gesto apprezzabile, come chiudere gli occhi a uno dopo averlo accoltellato, per esempio.

Mi tastai la nuca. Avevo ancora il cappello. Me lo tolsi, non senza fatica, e mi tastai il cranio. Quel mio buon vecchio cranio: in fondo gli ero affezionato, era tanto tempo che lo avevo. Ora era morbido, gonfio, un po’ troppo intenerito in quel punto. La manganellata era stata leggera. Il cappello era servito molto. La testa mi funzionava ancora. Potevo servirmene ancora per un anno, almeno.

Posai a terra la mano destra e sollevai la sinistra, torcendo il polso finché riuscii a vedere l’orologio. Il quadrante fosforescente segnava le 10.56.

La telefonata era venuta alle 10.08. Marriott aveva parlato per due minuti circa. Altri quattro li avevamo impiegati per uscire di casa. Il tempo passa lentamente quando si sta facendo qualcosa sul serio. Intendo dire, si possono fare moltissimi movimenti in pochi minuti. È questo poi che voglio dire? E che me ne importa della mia opinione? Gente migliore di me ha avuto meno opinioni di me. Bene, quello che voglio dire è questo: saranno state le 10.15, mettiamo. Il posto era a dodici minuti. Fa le 10.27. Io scendo, passeggio fra i cespugli, perdo al massimo otto minuti prima di tornare per farmi sistemare la testa. Sono le 10.35. Datemi un minuto per cadere e battere la faccia per terra. Sono caduto con il viso in giù perché ho il mento graffiato. Mi fa male, quindi è graffiato. Non lo vedo e non ne ho bisogno. È il mento mio e lo so io se è graffiato o no. Bene, concludiamo. Un momento, silenzio, lasciatemi pensare. A proposito, come si fa a pensare?

L’orologio segnava le 10.56. Questo voleva dire che ero rimasto privo di sensi per venti minuti.

Venti minuti di sonno. Avevano usato un bel sonnifero. In venti minuti avevo mandato in malora un lavoro e perduto ottomila dollari. E con questo? In venti minuti si può affondare una corazzata, si possono abbattere tre o quattro aeroplani, eseguire due condanne a morte. Si può morire, ci si può sposare, esser licenziati e trovare un altro impiego, farsi cavare un dente e farsi togliere le tonsille. In venti minuti possiamo anche riuscire ad alzarci dal letto la mattina e ottenere un bicchier d’acqua al bar di un locale notturno… ma questo non sempre.

(Raymond Chandler, Addio, mia amata, Feltrinelli)

Il buon Philip Marlowe si è preso una manganellata in testa durante un appostamento. Ora sta cercando di recuperare le fila dell’accaduto – e, in filigrana, della propria vita. In un brano del genere c’è tutto: l’atmosfera inimitabile da hard boiled del 1940, l’ironia del protagonista (Marlowe ha una sua classe speciale nel fare ironia, soprattutto su se stesso, eredità forse dell’animo british del suo autore), la vena di amarezza che corre sotto la superficie come una rete di capillari sottopelle.

Alice Basso è traduttrice, editor e redattrice. Dal 2015 è autrice per Garzanti della serie gialla sulla ghostwriter Vani Sarca (cinque romanzi e due racconti), iniziata con L’imprevedibile piano della scrittrice senza nome e conclusasi nel 2019 con Un caso speciale per la ghostwriter. A maggio 2020 uscirà Il morso della vipera, il primo romanzo di una nuova serie, ambientata nel 1935. Con dei racconti esterni alla serie su Vani Sarca, ha partecipato anche alle raccolte di beneficenza Fuori Fuoco (Spunto edizioni, 2019), Mariti (Giunti, 2019) e Super (La Corte, 2019). Nel tempo libero, quando c’è, canta e scrive canzoni per due rockband.