Alia Trabucco Zerán / La voce per parlare

Alia Trabucco Zerán, Pulita, tr. di Gina Maneri, Sur, pp. 200, euro 18,00 stampa, euro 9,99 epub

Parlare di conflitti sociali oggi, in un periodo storico dove le differenze si fanno più marcate e la maggior parte dei governi ammicca verso la media e alta borghesia lasciando i più deboli al loro destino, credo che sia uno degli scopi più nobili della letteratura. Alia Trabucco Zerán, scrittrice cilena, lo fa quasi sottovoce, in punta di piedi ma scatenando, nel percorso della trama, un potente atto di accusa verso una società sempre più classista. Lo sguardo di Pulita è quello di Estela García, una ragazza che lascia il suo piccolo paese nel sud del Cile per andare a fare la domestica a tempo pieno. La madre, domestica anch’essa, cerca di dissuaderla: quando la figlia le dice che si tratterrà poco, giusto il tempo per raccogliere i soldi per ristrutturare la loro casa e avere un po’ più di tranquillità economica, la avverte che non sarà così. È una vita strana quella della domestica, passeranno settimane, mesi e anni e lei rinvierà ogni volta la data del ritorno per il rapporto di odio/affetto che si instaurerà con la famiglia o perché non riuscirà mai a mettere insieme la somma che vorrebbe, restando imprigionata senza via di scampo.

Estela non la ascolta, e carica di speranze parte per la capitale. La storia comincia dalle fine: la ragazza arriva dalla famiglia, in cui rimarrà sette anni, nell’imminenza del parto della signora, avvocatessa e donna d’affari amante del lusso con un marito medico, che non avrà – e soprattutto non vorrà avere – il tempo di stare accanto alla figlia Julia. A sette anni la bambina morirà e per Estela sarà il momento della liberazione, ed è forse per questo che la ragazza vuole raccontarci la storia dal suo punto di vista: i padroni, anche se l’hanno sempre pagata puntualmente, le hanno proposto aiuti nei momenti delicati sempre sottolineando la loro differenza di classe: i loro gesti sono sempre rivolti a mantenere una certa distanza, le parole mai volgari ma sempre offensive, come a ribadire la sua subalternità.

Julia cresce viziata con i genitori assenti per la maggior parte della giornata che per giustificarsi la riempiono di regali che non vuole, che la spingono verso attività che non ama, che vogliono che sia la prima in tutto per esibirla come un trofeo. A un certo punto la bambina comincia a rifiutare il cibo, e ogni volta che fa qualcosa di sbagliato i genitori guardano Estrela in tralice come accusandola della ribellione della figlia. Il tempo passa, la bambina cresce e ha scontri anche con la domestica, forse perché sa che è l’unica persona a cui può appoggiarsi. Intanto il clima sociale cambia, si parla di manifestazioni per la grave crisi economica, le rivendicazioni sono sempre forti e la domestica si sente sempre più isolata dal mondo, chiusa in un incubo. Neanche quando muore la madre torna al suo paese considerando che con l’assenza della madre forse il suo ritorno non avrebbe senso. Ma con la morte di Julia le cose cambiano e lei scappa da quella casa dove ha vissuto per sette anni in una stanza senza finestre, dove ha subito centinaia di umiliazioni pur portando avanti il suo lavoro sempre nel migliore dei modi.

La trama è un crescendo di tensione, lo stile scorrevole e fluido e la scrittrice cilena ha la capacità di tenere il lettore incollato alle pagine nonostante abbia rivelato l’epilogo nelle prime pagine. Una prova matura e convincente, un romanzo “resistente” e militante che denuncia, in maniera potente e spietata, le sopraffazioni e le ingiustizie sociali presenti nella nostra società.