Nuova scommessa vinta per Sur, casa editrice indipendente con un esclusivo catalogo di letteratura sudamericana, che ha poi esteso a tutta l’America con la recente collana Big Sur. Sfilano autori come Cortazar, Byoi Casares, Bolaño, Donoso, Whitehead, ed esordienti, come Alia Trabucco Zerán, l’autrice di questo racconto, subito finalista al Man Booker International Prize.
La vicenda è stravagante e apparentemente innocua. Iquela e Felipe sono cresciuti insieme. Durante la dittatura militare di Pinochet alcuni membri delle loro famiglie sono morti o sono stati sottratti. Unici parenti sopravvissuti sono la madre di Iquela e la nonna di Felipe. Nella loro monotona vita in una Santiago incendiata dal caldo, arrivano due sorprese. Una cenere che cade dall’alto, appiccicosa e asfissiante, e Paloma, figlia di Ingrid morta da poco. Ingrid era cilena, emigrata in Germania, e Paloma ha deciso di riportare la salma nella terra d’origine. Così si presenta di punto in bianco a Santiago, chiedendo aiuto. La bara ha viaggiato in un aereo diverso da quello di Paloma e bisogna recuperarla. I tre ragazzi partono insieme. Si alternano due voci narranti, quella di Iquela e quella di Felipe. Si esprimono a capitoli alternati, i paragrafi contrassegnati in modo insolito. Paloma è un dispositivo d’azione, ma non è un personaggio chiave. Parla male lo spagnolo, fuma molto, e nei calzini nasconde bottigliette di droga con cui sballerà al momento opportuno.
La clausura mentale di Felipe lo porta a sciabordare con un flusso inarrestabile di parole e pensieri, in una precipitazione tempestosa priva di freni sintattici. Ha un obiettivo che persegue con furiosa mania: sottrarre morti. Li vede dappertutto e li inserisce in un calcolo psicotico che serve a tranquillizzarlo. Chi sono questi morti? Forse i desaparesidos, i morti nascosti, quelli senza tombe. Forse si sono trasformati in cenere, che adesso cade senza pietà sulle “citta avvolte in lenzuoli bianchi”, coprendole di un velo grigio, colloso, perché i morti dispersi non vogliono essere dimenticati.
Iquela fa la traduttrice e anche lei vive in una clausura linguistica, ossessionata dai sinonimi, che enuncia comunque, o dalle possibili traduzioni scartate, che enuncia comunque, e dalle frasi ritualmente ripetute della madre, che diventano ritornelli e che enuncia con tutte le possibili variazioni grammaticali, e dalle frasi che vorrebbe dire ma forse è meglio di no, e che quindi enuncia tra parentesi. La sua lingua tracima di parole non necessarie, uno scafandro utile alla sua insicurezza.
Il viaggio inaspettato spiazza le clausure, o meglio le costringe a riadattarsi continuamente. I tre ragazzi affittano una vecchissima macchina per feretri – Il Generale – con la quale devono attraversare la Cordigliera. La scrittrice maneggia con arguzia le carte di una situazione tanto stramba, ma ruvidamente verosimile. A tratti il quadro diventa leggero, pazzerello, arioso, come può esserlo il viaggio eccitante di tre giovani che partono senza un programma, mangiando patatine comprate da qualche parte, giocando a “nomi cose animali città”. Coinvolgendosi, toccandosi, o scendendo dalla macchina per dileguarsi.
Viva l’Avventura. Ma poi arriva l’onda bassa. Iquela e Felipe si troveranno distanti, in una ricerca che non li riguarda davvero, a fare i conti con la propria incompiutezza e desolazione. Hanno vissuto l’infanzia amara di bambini a cui sono stati uccisi i genitori, senza capire perché. Nella ricerca della cassa di una morta sconosciuta emergerà il peso specifico delle loro esistenze, vissute nell’ombra di un passato troppo duro.
Dando la parola all’autrice, questo è “un romanzo che parla del peso di un’eredità, il peso del dolore ereditato da una generazione di figli e figlie, di quelli che hanno lottato contro la dittatura cilena. Il libro cerca di indagare come trovare la propria strada in mezzo a questo dolore. …Felipe non fa altro che contare – da qui il titolo – i morti, per rispondere a una domanda che lo ossessiona, ovvero: come far coincidere il numero dei morti con il numero delle tombe, in un paese in cui questi due dati non coincidono?”
Nei capitoli finali sentiremo sbattere ali. Iquela: “Paloma salì sulla camionetta, agitò la mano per salutare e la vidi andar via, lasciandomi davanti a quelle ali che frullarono all’unisono, lentamente, in perfetta sincronia degli uccelli in volo, staccandosi da terra in mezzo a un tubare sconosciuto, un mormorio che all’improvviso esplose in un baccano incontenibile…”
Felipe: “la città che è un nido profondo, un cerchio come un ombelico e le idee della notte, questa è Santiago: un nido circolare come sarà il mio volo, perché devo dimenticare il Generale e volare al centro, scendere fino a casa mia, ritornare proprio così, e quindi mi alzo, abbandono quella morta imbrogliona nella sua nuvola di fumo, le volto le spalle, mi scrollo e ingoio deciso tutta l’aria, mi gonfio di cenere e comincio a lasciarla, a lasciarmi, a correre: corro per imparare a usare queste mie piume…”
Si sottraggono morti, ma si sommano onori per l’autrice e la sua vitalità letteraria.