Ali Millar / L’influencer e lo tsunami

Ali Millar, Ava Anna Ada, tr. di Martina Testa, SUR, pp. 310, euro 19,00 stampa, euro 9,99 epub

È una distopia fin troppo abile nel tratteggiare il nostro futuro, il mondo immaginato da Ali Millar nel suo esordio Ava Anna Ada, pubblicato da SUR nella traduzione di Martina Testa. Un Valorimetro a quantificare il prestigio di ogni individuo, una misurazione suscettibile a drastiche variazioni in base a minimi gesti, e la necessità di condividersi il più possibile sullo Schermo – così scorre la vita di tutti i giorni, mentre l’economia è piegata dalla crisi agricola e aree intere sono minacciate dagli effetti dei cambiamenti climatici. Come la Punta, una zona tra Inghilterra e Scozia, dove è previsto l’arrivo di un’Onda capace di spazzare via ogni cosa.

In una simile dimensione è il capitale digitale a farla da padrone, perché garantendo ricchezza e potere salva dalla deportazione. Per questo in cima ci sono figure come Anna, influencer diventata sempre più popolare per aver reso pubblico il trauma provocato dalla morte della figlia Ada, ma anche per essere intervenuta nel dibattito sul pericolo dell’Onda. Si trasferisce in un mulino della Punta con il marito Leo e il figlio Adam e qui conosce Ava, una ragazza che si prostituisce per sopravvivere e somiglia in modo inquietante a Ada. A differenza di Anna, Ava teme di essere portata via a causa del suo basso valore: segue ossessivamente la routine della donna sullo Schermo, non può fare a meno di provare fascinazione e rancore per la sua apparente perfezione.

Tra le due s’instaura una dipendenza sensuale e macabra, nutrita dalle aspettative reciproche e dal bisogno di colmare una solitudine divorante. Anna è consapevole che Ava non è Ada e non potrà mai sostituirla, come si rende conto di non amare fino in fondo marito e figlio; Ava invece coglie la discrepanza tra l’immagine e la personalità di Anna, la disprezza ma non può comunque fare a meno di lei. Nel romanzo Millar allarga l’abisso tra le percezioni e la realtà: la narrazione è fortemente condizionata dalle diverse prime persone dei capitoli, i personaggi faticano a mantenere una chiara immagine di sé davanti a tante distorsioni, interne ed esterne. Anna si domanda: «Se non potevo fidarmi dei tratti fondamentali del mio riflesso, allora cos’altro non era reale? Guardandomi allo specchio cominciai a immaginare di essere più grassa, più larga, più brutta di quello che ero. Mi veniva naturale vedere cose che non c’erano, distorcere la mia stessa immagine con la forza dell’immaginazione».

La donna affronta l’abisso con una ricerca spasmodica di approvazione online e distrazioni, che siano droghe per annebbiarsi o dolore fisico a distogliere da quello dell’anima. Ava si aggrappa alla rabbia per la sua posizione sociale, alla fame di impossibile: «Volevo tutto, e la sensazione del desiderio era la cosa più orrenda che avessi mai provato. Quella sera mi bruciava in petto una sensazione che avevo messo a dormire senza mai chiederle di risvegliarsi. Volevo il mondo: era l’ultima cosa che avrei mai potuto ottenere». S’insinua il sentimento di un’inconsistenza a cui le protagoniste di Millar reagiscono non solo attraverso la concretezza delle informazioni mandate dai sensi – il tatto, l’udito e l’olfatto – ma anche nella manifestazione di un’inedita violenza, sia a livello collettivo sia individuale.

Le identità di Anna, Ava e Ada si confondono in una spirale divorante, in una danza allucinata: lo spettro di Ada lega Anna e Ava e annebbia i confini tra lecito e proibito, fatti e menzogna. Intanto la Punta, colpita da calore e piogge anomali, è presa d’assalto da chi attende il cataclisma, come uno stormo di avvoltoi affamati intorno alla preda. Con una scrittura schietta e conturbante, Millar racconta l’incontro tra illusioni, gli squarci improvvisi di lucidità tra maschere e mistificazioni. E lo fa con una lingua inebriante e irresistibile, onirica e allo stesso tempo viscerale.