Durante il 1989 la rivista “il verri” (fondata da Luciano Anceschi nel 1956 e da lui diretta fino alla scomparsa nel 1995) pubblicava nel numero 11-12, dopo una scelta di versi, un articolo molto gustoso di Alfredo Giuliani dove raccontava il suo apprendistato riguardante la poesia e la scrittura.Una soddisfacente esperienza che lo porta dall’infantile interesse per il teatro alle letture onnivore di romanzi nell’adolescenza giungendo poi allo choc procurato da Arthur Rimbaud e Dylan Thomas. Quella “cosa in più” che è la poesia gli allena i neuroni “o che altro diavolo folleggia” tanto che gli orientamenti verso libri, autori, compagni di viaggio, menti a rischio e altri, transitano in una fiera di possibilità d’ampissimo assortimento. In maturità le testimonianze editoriali non mancano, e attraverso la raccolta di svariati articoli apparsi su giornali e riviste, come già Le droghe di Marsiglia, Letture improvvise, Autunno del Novecento, ancora possiamo essere attratti da questo mondo di letture e interventi pazientemente (Giuliani scrive che la pazienza gli è sempre stata fedele) redatti nel corso di molti decenni.
Giuliani ha vissuto fino al 2007, e ora questo nuovo volume raccoglie e riunisce una serie di scritti apparsi principalmente sulle pagine di “La Repubblica” dal 1977 al 1998. Il curatore Andrea Cristiani, in un’ottima postfazione, ci informa che il progetto di ordinare numerosi interventi era nei pensieri di Giuliani per dare un seguito ai precedenti volumi. Dal vasto mare di carte presente nella casa e nello studio dello scrittore è emerso un contenitore dotato di indice e titolo (“La biblioteca di Trimalcione”, appunto) che non lasciava dubbio alcuno su quanto avrebbe dovuto venir pubblicato a tempo debito. Aggiunte successive, in seguito al ritrovamento di fogli dattiloscritti, arricchirono il faldone dando perentorietà classificatoria al progetto editoriale che Giuliani aveva certo in mente. Non restava al curatore (grazie anche all’amorevole apporto di Laura Fasciani Giuliani) che immergersi nella magica risultanza di un impegno ben distante dai codici accademici e che vede nella profonda amicizia con Manganelli una cifra che Giuliani può ancora regalarci con sommo piacere. Nessuna usura del tempo può intaccare i due, non esiste routine che ne sbiadisca opere e apporti. “Classici” e “Orienti” fioriscono nell’irresistibile sincronicità di Giuliani e del Manga, contano poco le date, perfino i tormenti di questi due tipi formidabili si sciolgono negli scarti, riprese e molteplici fughe in avanti capaci di alleggerire il dover parlare al passato (come di Calvino per Giuliani) a proposito di arditezze letterarie non comuni e di cui indagare i congegni. I modi di pensare sottili, accompagnati a personaggi che della sottigliezza fanno monogramma d’esistenza (Palomar, per esempio), sono spesso stati sollievo per uno scrittore che anche nei modi della poesia (Povera Juliet nella mai dimenticata collana “gialla” diretta da Antonio Porta per Feltrinelli e la cura dei Novissimi, antologia di poeti del Gruppo 63 a cui lui stesso appartenne) ha messo in campo un enorme lavoro di conoscenze e sfumature.
Non di ingordigia si tratta (come il titolo dato al volume potrebbe far supporre), ma la tentazione – spesso avverata – di erigere una personale biblioteca dove dalla rete degli interessi far scendere al lettore scampoli di scoperte incessanti, e relazioni immuni dal trascorrere delle stagioni. Il tempo di questo libro, affermiamolo con Anceschi, non è quello degli orologi e delle clessidre. Potremmo sperare oggi, come in altra epoca, che pure qui esista una via per far uscire l’uomo dalle sue difficoltà.