Il giornalismo culturale in Italia vanta una lunga e prestigiosa tradizione. Scrittori e poeti come Montale, Pasolini, Calvino, Gadda, Bianciardi, Zanzotto, Sanguineti, Raboni (solo per citarne alcuni), critici di vaglia e squisiti prosatori quali Cecchi, Placido, Eco, Pampaloni, Guglielmi, Citati, Garboli, Pedullà e numerosi altri hanno impreziosito quotidiani e riviste con pagine lucide e profonde, illuminando aspetti artistici e culturali del loro tempo, in tal modo educando schiere di lettori. Una tradizione che negli ultimi anni sembra essersi smarrita, come la dimensione e lo spessore intellettuale di un Paese per più d’un verso allo sbando. I cosiddetti critici che inchiostrano oggidì le pagine dei giornali (e affollano la rete) quanto a cultura e capacità di analisi appaiono infatti come una pallida eco dei maestri che li hanno preceduti. Ben lungi dall’istruire, dal rilevare connessioni, dal dipingere sintetici e brillanti quadri interpretativi di questo o quell’argomento, la maggior parte se la cava tranciando immotivati e personalissimi giudizi di gusto, incapaci di entrare nel merito, o troppo pigri per articolare con adeguato spirito analitico il loro pensiero.
Per trovare eccezioni a tale regola bisogna rivolgersi a personaggi ormai âgé, come il noto critico letterario Alfonso Berardinelli, del quale il Saggiatore ha pubblicato il volume Giornalismo culturale che raccoglie articoli apparsi sul Foglio, Il Sole 24 Ore, Avvenire, Il Venerdì di Repubblica, dal 2013 al 2020. Corredato di una premessa dell’autore e di un utile indice dei nomi, è un corpus notevole quanto a varietà di temi e interessi culturali, con una sorpresa: i pezzi di critica letteraria sono in netta minoranza. Una sorpresa relativa, a ben vedere, considerando le parole dello stesso Berardinelli: “La critica letteraria è in via di sparizione sia perché gran parte dell’attuale letteratura non è più un oggetto che abbia interesse critico, sia perché gli studiosi non è detto che siano lettori interessati a formulare giudizi”. Le recensioni (non solo di testi narrativi) ci sono, gli autori analizzati (del presente e del passato, italiani e non) sono numerosi, ma l’oggetto privilegiato di questi articoli, basato sulla premessa che lo stato della cultura non può lasciare indifferenti, è appunto la cultura in senso lato: le idee correnti, i linguaggi e i loro usi, l’analisi di costume, il commento a fatti di cronaca, film e programmi televisivi, le mode culturali, il dibattito politico.
I giudizi tranchant, le acute riflessioni di queste pagine sono il prodotto della specifica originalità dell’autore, un intellettuale singolarmente enciclopedico quanto a formazione umanistica, e non certo di quelli disarmati e impotenti davanti al moloch di una cultura di massa che fagocita ed espelle acriticamente ogni manifestazione del reale, rendendo inconcepibile qualsiasi valutazione selettiva e qualitativa. D’altra parte, Berardinelli si ritiene un “non omologato”, che considera il giornalismo culturale un genere letterario attraverso cui osservare la realtà da un punto di vista inconsueto, uno strumento di intervento nel discorso pubblico che permette di smascherare ipocrisie, conformismi, luoghi comuni e portare alla luce verità rimosse o celate.
È una strategia contraddistinta da una grande mobilità critica, che nasce da spunti e casi offerti dall’attualità, e messa in atto con una pluralità di stili e registri, spazianti dalla dialettica argomentativa all’ironia distanziante, dall’analisi strutturale alla satira culturale, caratterizzati dall’“impazienza”, “dal gusto letterario per la velocità, la varietà, la mescolanza di temi e toni” – per citare lo stesso autore –, qualità che lungi dall’essere “un difetto” si confanno perfettamente ai limiti di spazio e alla misura breve d’un articolo.
Qualunque sia il tema affrontato – la rete e il mondo dei mass media nell’era digitale-multimediale, lo stato della narrativa e della poesia contemporanee, film appena usciti e pellicole storiche, l’autocoscienza storica nazionale, arte e civismo, politica e società, editoria e il ruolo dell’intellettuale (deliziosi i pezzi polemici contro Emanuele Severino), scienza e fede, mito e realtà, migranti e accoglienza, o anche eventi concreti ed epocali come le dimissioni di papa Benedetto XVI –, questi articoli sono attraversati da un filo rosso: l’“only connect” (non a caso il titolo del primo pezzo qui presentato) del romanziere Edward M. Foster, per il quale compito d’uno scrittore è saper connettere, cercare nessi nel caos del reale. È una sfida che Berardinelli fa sua, e che lancia “al più modesto lettore di giornali”, a cui egli stesso si assimila, proponendo riflessioni che si configurano come brani d’un diario pubblico, basate su intuizioni, opinioni, umori del momento, originate da una persino smodata reattività a fatti e fenomeni culturali e sempre tesi verso un serrato vaglio critico.
Una tenzone che prende corpo sin nei titoli, incisivi e spiazzanti (“Sfida al lettore”, “Come è possibile la scuola?”, “Scienziati farabutti”, “La nuova strage”, “Le biblioteche ci guardano”, “Il fantasma dei fatti”, “Stupidità d’avanguardia”, “Censura nera e censura bianca”, “L’Europa non è una patria”, “Sesso allo stato puro”, “Allergici e diabetici”, “Non date consigli alla mia psiche”, “Cento idee sono troppe”), nell’inesausto confronto tra le parole e le cose, le maschere culturali e le realtà di fatto, nell’analisi del conformismo sociale, dei modi in cui si manifesta e delle ragioni che lo presiedono. Non sarà dunque un caso che l’articolo di chiusa di questa fecondissima silloge sia il primo comandamento d’un intellettuale engagé: “Pensare il presente”.