Mentre leggevo questo romanzo riflettevo sulla qualità degli ultimi esordi di autori italiani letti e recensiti negli ultimi mesi: tutti hanno una qualità superiore rispetto alla media delle opere prime, e questo Gli scomparsi non fa eccezione. Non so se il merito sia di un lavoro di editing più approfondito – che non è mai stata una tradizione forte delle case editrici italiane, a parte qualche rara eccezione, come invece accade soprattutto nei paesi di lingua anglosassone –, o di una maggiore consapevolezza degli autori, ma sta di fatto che si nota una maggiore attenzione al linguaggio e allo stile, un uso più misurato delle tecniche e degli strumenti narrativi – è rarissima la ricerca del passaggio a effetto per colpire il lettore, tentativo spesso inutile se non addirittura controproducente –. Anche l’ambientazione e l’argomento affrontato sono frutto di una ricerca sempre esaustiva e si ha l’impressione che lo scrittore tenga sempre in mano le redini della trama e non si allontani mai dal cuore della narrazione.
Alessia Tripaldi, sociologa e sceneggiatrice, ama la criminologia e mette a frutto questa sua passione, insieme agli archetipi della personalità elaborati da Gustav Jung e le teorie del criminologo ante litteram, l’antropologo Cesare Lombroso, per presentarci un thriller psicologico a tinte fosche. Nella strada statale che attraversa le montagne più impervie dell’Abruzzo viene rintracciato un ragazzo, Leone, che dice di vivere nei boschi insieme al padre, che adesso è morto. Da qui cominciano le indagini di Lucia Pacinotti, commissario piemontese trasferita da poco in Abruzzo, dove non si trova bene e probabilmente mai si troverà a suo agio. E scoprirà da subito, trovato il cadavere seppellito tra il fogliame del bosco nel punto indicato dal ragazzo e sicuramente non deceduto per cause naturali, che non esiste una relazione di parentela tra Leone e l’uomo ucciso. E vengono subito in mente i tanti casi di minori scomparsi, non sempre ritrovati o ritrovati dopo tanti anni, vittime di carnefici con cui spesso hanno instaurato un rapporto di subalternità o di completa dipendenza psicologica. A Lucia viene subito spontaneo chiedere aiuto a Marco Lombroso, compagno di studi di criminologia e per un po’ anche compagno di vita, che ha sempre dimostrato eccezionali doti di profiler ma che è rimasto prigioniero del cognome scomodo del suo trisavolo. Marco però riesce a far breccia nell’ostinato silenzio di Leone, e piano piano si fa strada la vera natura del fatto, gli implicati e le implicazioni, i colpevoli e le psicologie degli attori della vicenda, i pregiudizi e la vera natura dei protagonisti. Non sarà facile trovare la strada giusta, arrivare alla soluzione, e Marco Lombroso rivivrà di nuovo il disagio di portare un nome ingombrante che spesso viene criticato a sproposito, e si ritirerà ancora in un mondo dove si sente al sicuro da un marchio che gli è stato impresso in maniera indelebile. Lucia Pacinotti dovrà mettersi contro i suoi colleghi per trovare il bandolo della matassa: le cose non sono mai come appaiono all’inizio e i colpi di scena si susseguono frequenti. Le psicologie dei personaggi sono tracciate con semplicità e precisione, l’ambiente è descritto con accuratezza e i dettagli non sono mai lasciati al caso. Il lavoro narrativo della Tripaldi ci pone di fronte, senza dubbio, a un’autrice che se darà seguito alle premesse ci regalerà altri romanzi di spessore.