Non è Manhattan, occorre ribadirlo, ma la “civilizzata” Milano e le condiscendenti arie capitoline. Ma le digressioni non mancano e i tempi di quest’epoca irrompono fortemente, danno al nuovo romanzo di Alessandro Piperno il gusto ferrigno delle armi belliche e del sangue riversato sulle macerie, perché le sorti private e familiari del noto protagonista Sacerdoti sono inzuppate di questioni russe ed ebraiche, invasive e macellaie – e qui non occorre ricordare perché. E poi il politicamente corretto e le diatribe parossistiche prendono forma proprio nel mondo di Flaubert, il cui pensiero e la cui opera diventano trama di un racconto che censura e distrugge vita e opere del professor Sacerdoti, romanziere e accademico improvvisamente cacciato dalla propria università proprio perché un infausto giorno si trova a proferire in aula pensieri e parole di Flaubert non proprio “gentili” verso le donne. Ma scatta la censura della Commissione: se fai tua la misoginia di quel (grande sì, ma) mascalzone durante una lezione non potrai voltare le spalle alla replica violenta delle studentesse. L’abiura è necessaria.
Ma l’ipocrisia borbonica dell’istituzione, alimentata dal desiderio di vendetta d’una collega, per passate diatribe, non scalfisce l’autostima di Sacerdoti che, scavandosi la fossa, rifiuta di redigere la lettera di scuse. Flaubert, per lui certamente “nichilista e risentito”, era pur sempre autore di romanzi immortali. E dunque: affrontare la fatwa accademica e sociale, la riprovazione fra le mura universitarie e l’odio alluvionale sui social. Quel che ne segue è un incrocio fra storie passate e avvenimenti gremiti di novità impensabili, come l’arrivo di Noah, figlio di una lontana cugina ortodossa, a cui l’ormai ex docente dovrà badare adottandolo al netto nella sua vita di devozioni, ingorghi seduttivi di vecchie presenze, e rapinose lusinghe. E il senso di colpa, quasi mai tollerabile servizio dell’anima: la grande, a ben vedere, cortesia alla letteratura fatta dallo scrittore Piperno. Che non sarà come Sacerdoti, ma che in qualche tratto gli somiglia.
Sono molte le posizioni prese, in questo romanzo, anche se l’autore lo nega (almeno in parte): verso la condizione familiare, la sua decadenza, e le risorse manchevoli fra coniugi e amanti, fra genitori e figli, le demenziali romanzerie, e giustizie sommarie in sede di delitti e castighi, di persecuzioni inflitte nel web, e la cancellazione equivoca (come spiega Piperno in una intervista) di Kraus e Woody Allen, e della Lolita nabokoviana, ci vuole tutta che venga accettato Proust: mentre siamo stretti fra i generali e le sorelle qualcuno cerca di “ripulire” Omero e Flaubert. Salinger oggi può sembrare un alieno caduto sulla terra, e sulla terra Hamas, Israele e Putin alterano un presente che non vuole più bene al futuro, come accadeva in passato.
Vaste, come in ogni sua opera, le categorie umane visitate da Piperno, con effetti che balzano con intensità terribile, che non si esauriscono nel viaggio fra la pagina e la veglia del lettore, dalla borsa alla triangolazione della Comédie humaine. Niente di incantevole nell’odio che oggi tocca al mondo, come scriveva Manganelli, che però ha qualcosa di numinoso come la devozione. Sarà per questo, che pur nella totale ignoranza, alcuni espletano la loro qualità di lupi mannari. Meglio la macchina dell’Esorcista all’applicazione dei bassi valori correnti ai Classici. Il razzismo in letteratura è perfino peggio che nelle strade saltate in aria dell’attuale mondo.
Su Pulp Magazine una intervista del 2021.