Alessandro Morbidelli / Per qualcuno ci sono figli e figli

Alessandro Morbidelli, I figli dei chiodi, Vallecchi, pp. 328, euro 18,00 stampa, euro 6,99 epub

Famiglia è una parola che recentemente ha infiammato il dibattito politico e sociale ed è stata usata, di frequente, a mero scopo propagandistico. Qualche mese fa nella mia città, Ancona, si sono svolte le elezioni amministrative e la destra ha riunito il suo stato maggiore per un comizio che ha visto la partecipazione di Meloni, Salvini e Tajani per dare sostegno al candidato sindaco della coalizione. L’occasione era ghiotta, c’era la possibilità, poi concretizzatasi, che il centrodestra potesse vincere le elezioni in una città storicamente di centro-sinistra. Sono passato nei pressi della piazza durante l’intervento del ministro delle Infrastrutture mentre stava dicendo che era imminente la Festa della Mamma, e non di genitore uno o genitore due: è salito un boato accompagnato da uno sventolio di bandiere e una giovane mamma con un bimbo nel passeggino, decentrata dalla folla, ha scandito un bravo e ha applaudito. Io, impaurito più dalla giovane donna che dalla platea, mi sono messo una mano sulla fronte mormorando: ma cazzo! Siamo nel 2023. La famiglia, per molti, è definita dalle convenzioni e non dall’amore tra due o più persone. A parte le opinioni personali, che non dovrebbero mai prescindere dai diritti e le libertà individuali, la famiglia di origine e il luogo di nascita – per quest’ultimo sarebbe interessante leggere Il posto di Annie Ernaux –, sono i due elementi che segnano in maniera fondamentale la nostra vita.

Il romanzo di Alessandro Morbidelli pubblicato da Vallecchi, una delle case editrici più attive nella valorizzazione della qualità, si ispira a un fatto reale. Nel 1989 una giovanissima ragazza residente nel Gargano viene uccisa e bruciata perché si rifiutava di prostituirsi. Da qui lo scrittore marchigiano mette in piedi una storia cruda e spietata, senza risparmiarci scene di una violenza e crudeltà inaudita, cercando di indagare, come fa il miglior noir, nelle pieghe di una società in cui il marcio è spesso occultato grazie alla complicità dei potenti. L’assoluta dipendenza verso la criminalità e la paura delle ripercussioni per sé stessi e i propri cari rendono problematica la denuncia ai malcapitati. La famiglia è un microcosmo che si riflette sulla realtà sociale e non è sempre portatrice di valori positivi, basta sentire le cronache quotidiane. La mancanza dello Stato poi, in questi casi è determinante. E nel suo romanzo Morbidelli ce ne dà un saggio.

I piani temporali del racconto sono due, a capitoli alternati: il 1989 e il 2018. In un paese sperduto nelle campagne pugliesi vivono cinque ragazzi: sono molto amici, passano molto tempo insieme e tra loro nasce una forte solidarietà. Ma c’è una grande differenza tra loro: Cosimo e Mina sono i figli del boss mafioso della zona che decide sulla vita e la morte (e non solo) degli altri, mentre Sergio, Carlino e Rosa, sono i figli degli “ultimi”, coloro che devono sottostare al volere della criminalità. Cosimo e Mina pensano che il rispetto che gli abitanti del paese mostrano verso il padre nasca dal fatto che è un gran lavoratore e una persona sempre pronta ad aiutare gli altri. Sono innocenti e spensierati, e così come i loro tre amici sentono dentro un sentimento di giustizia che li porta a esporsi a situazioni pericolose: solo il potere del padre eviterà loro conseguenze terribili. Ma le cose, a un certo punto, esplodono, Rosa, poco più che adolescente, viene costretta a prostituirsi insieme ad altre ragazze che vengono prelevate la mattina dal braccio destro di Campani, il padre di Mina e Cosimo, per essere portate sulla strada. Mina resta scioccata dallo sguardo spento dell’amica, dalla sua disperata richiesta di aiuto, non riesce a credere che il padre possa fare una cosa del genere, e insieme a Cosimo gli chiede di salvare la sua amica. Ma l’uomo non vuole farlo, ne andrebbe del suo onore e del suo prestigio. Ci sono delle regole, dice ai figli, e chi prova a cambiarle fa una brutta fine. È la fortuna della famiglia in cui si nasce che fa la differenza e deve essere mantenuta. Cosimo, che prenderà il posto del padre non avendo avuto la forza di ribellarsi alla famiglia, trenta anni dopo si reca a Milano per mettere a posto una questione d’onore spinto dalla madre: deve uccidere l’uomo che ha tradito il padre fuggendo. Anche la sua famiglia deve essere eliminata, nella più crudele tradizione delle cosche mafiose, ne va del suo ruolo e della sua reputazione nel territorio. All’inizio tutto sembra facile, ma la storia si colora di colpi di scena che danno un taglio diverso alla storia, aggiungendo significato a dettagli che sembravano quasi superflui.

Morbidelli si muove agile e sicuro in una storia in cui riesce a tenere il bandolo della matassa apparentemente senza sforzi, con uno stile semplice ma incisivo che non cerca mai di stupire il lettore, continuando nel suo percorso letterario: costruisce, mattone dopo mattone e con pazienza, una narrazione che fonde stile e contenuto, denuncia e indagine, con una modestia e una semplicità che sono tra le sue doti migliori.