Riempire il vuoto?

Alessandro Dal Lago, Viva la sinistra, Il Mulino, pp. 189, euro 13,00 stampa

Può la sinistra risollevarsi dalla marginalità cui sembra averla condannata la prevalenza conquistata sul piano del consenso da una destra populista e sovranista, aggressiva e xenofoba, incolta e plebea, o è destinata a un tramonto inglorioso dopo un protagonismo che ha segnato almeno due secoli? E lo stesso concetto di sinistra è oggi ancora valido e spendibile o è destinato a un’irreversibile scomparsa?

Sono alcune delle domande cui cerca di rispondere Alessandro Dal Lago, uno dei più acuti e preparati osservatori delle dinamiche sociali dei nostri giorni e il suo Viva la sinistra va letto con rispettosa attenzione per gli spunti di riflessione che propone.

Già l’incipit coglie le temperie lontane del presente risalendo alla canzone Destra-Sinistra (1994) di Giorgio Gaber (“L’autore si era allontanato da anni dalla sua supposta adesione alla sinistra. In realtà, quello di Gaber, che alcuni considerano curiosamente un pensiero libero dalle ideologie, è puro e semplice qualunquismo”). Parole chiare e condivisibili. Sfuggire dal substrato ideologico è impossibile. È proprio in questa deriva che affonda la crisi della sinistra politica e culturale. Verrebbe da dire, parafrasando Sergio Leone, che quando un uomo con il qualunquismo e il populismo nel fucile incontra un uomo con la complessità e la conoscenza nella pistola, l’uomo con la pistola è un uomo morto. Ma partiamo dall’inizio.

Con la caduta del Muro di Berlino e la fine della Guerra fredda, la sinistra socialdemocratica si è allineata, quasi senza residui critici, all’ideologia liberalista e all’egemonia statunitense sull’(dis) ordine mondiale con tanto di guerre “umanitarie” (Tony Blair e Massimo D’Alema in primis).

In campo economico-sociale questa curvatura moderata si è espressa con il sostegno al diffondersi del precariato, alla politica dei bassi salari e dell’attacco ai sindacati (Matteo Renzi con il suo Job-Act e l’abolizione dell’Articolo 18).

Il disagio sociale che ne è conseguito ha determinato il crescere del consenso al populismo di destra nelle sue varie manifestazioni (in Italia verso Lega e M5S). Il malcontento dei ceti popolari, impoveriti dalla crisi economica e dallo smantellamento dello stato sociale promosso dai governi di centro-sinistra ha trovato rappresentanza nel populismo di destra, che l’ha indirizzato verso le cosiddette élite, il potere finanziario e i migranti, in un miscuglio confuso ma efficace sul piano elettorale.

Il mondo si è capovolto: la sinistra sta con i ricchi e la destra con i poveri. Un paradosso che spiega la scomparsa della sinistra socialdemocratica così come l’abbiamo conosciuta dalla fine dell’Ottocento alla fine del Novecento

E la sinistra radicale? Praticamente inesistente nella suo rinserrarsi settario e iperutopistico, che in alcuni casi arriva a confondersi con la destra xenofoba e omofoba sul tema dell’immigrazione e dei diritti delle minoranze LGBT.

Ma come si riempie il vuoto? Come si supera la catastrofe di un pensiero unico orientato a destra?

Con una vera sinistra socialdemocratica ispirata a un programma di riformismo radicale: lotta alle disuguaglianze sociali, contrasto alle politiche rigoriste dell’UE, difesa dei diritti umani e civili.

Ma l’auspicio dell’autore va oltre e si spinge a delineare l’idea di una sinistra in grado di recuperare una pulsione etica che proietti l’agire contro ogni forma di oppressione e ingiustizia indipendentemente dall’esito, anche mettendo in conto il fallimento e il sacrificio personale. Figure esemplari: Carlo Pisacane e Rosa Luxemburg.

Se l’analisi dello strabordare del populismo di destra è sostanzialmente condivisibile, mi sento di avanzare qualche osservazione critica relativamente alla parte propositiva dello scritto, nel quale si prospetta un programma di risalita per la sinistra. Ebbene, pur con tutti i limiti riscontrati e gli errori commessi, in questi ultimi anni ci sono state soggettività politiche organizzate (SI, LEU, Potere al popolo) che hanno messo in campo proposte non molto dissimili da quelle che Dal Lago include nella sua “piattaforma” socialdemocratica. Semmai bisognerebbe tematizzare le ragioni della loro scarsa presa e da qui ripartire. Forse ci sono altre domande da porsi: quale blocco sociale, quale forma organizzativa e con quale articolazione partecipativa, con quale rapporto con le istituzioni e con le scadenza elettorali, con quali alleanze, con quale idea di gestione economica di un sistema destinato a rimanere (per quanto tempo?) capitalista? Sono solo alcuni dei nodi ineludibili da affrontare per chiunque si assuma il non facile compito di far (ri)vivere la sinistra.

La sensazione, insomma, è che proprio nella pars costruens il testo perda peso, finendo per delineare una riappropriazione di nobili orizzonti etici all’insegna di un volontarismo idealistico, pur sempre ammirevole, ma poco spendibile in un presente segnato da problematiche incandescenti.