Alessandro Bertante, Apocalisse milanese

Alessandro Bertante, E tutti danzarono, La nave di Teseo, pp. 151, euro 17,00 stampa, euro 9,99 epub

Tutto inizia nella casa di un padre morto. Ivan Boscolo, professore di Letteratura alla Facoltà di Lettere e Filosofia, vi si aggira pesantemente con la sua mezza età e i fumi dell’alcol sempre presenti – il caldo torrido dell’estate milanese, fumosa e spietata, non dà tregua. Piazza Venezia, come i dintorni, si consuma nell’aria irrespirabile così come il Novecento già si è esaurito velocemente. Ivan guarda i libri del padre, giornalista politico, disposti in un ordine “estetico” per editore, stremato s’affaccia alla finestra: il termometro segna quaranta gradi, sul marciapiede scatoloni di merce “semplice e sciatta”. Bisogna vendere l’appartamento. E disperdere i ricordi d’avventure giovanili che tiene a bada con liquori e Xanax. Appare a tratti un pensiero rivolto alla figlia Micol, adolescente “seria e molto sensibile” in giro chissà dove nel tempo difettoso che avvolge strettamente l’intera città, e l’intero mondo. Poi s’incammina faticosamente verso il quartiere Acquabella, dove abita da qualche anno dopo la separazione dalla moglie. Un rifugio, una specie di barriera al tempo devastato e alla desertificazione di compagnie e territori.

Tutto torna nelle prime pagine di questo nuovo romanzo di Alessandro Bertante, per noi che mastichiamo l’ansia per il disastro che consuma i giorni – forse per sempre – e agita le notti quando cerchiamo qualcosa di popolare che si opponga, di clandestino e contrario alla falsa vita gettataci addosso dalle produzioni politiche attuali – tossiche, violente, menzognere. La pura volontà di un tempo (e anche certe prodezze) si scontra con le false ricchezze, gonfie e schiaccianti. Bertante sa di cosa parla, delle forze oscure che si mangiano la terra. Della polvere rabbiosa, polvere ustionante dappertutto, che ricopre i vivi e i morti (come la neve di Joyce nel suo The Dead).

In quel giorno insano Boscolo apprende che il sindaco ha organizzato un gigantesco rave nel centro di Milano dove si ammasseranno migliaia di ragazzi per quella che secondo le intenzioni dell’amministratore cittadino dovrebbe essere la Festa del Solstizio d’Estate. Detestare i cartelloni, che pubblicizzano l’evento lungo i viali e le piazze, e il sindaco, diventa pensiero dominante: inganno, malafede, ecco cosa si nasconde dietro la faccia del sindaco. Con in animo queste sgradevolezze il professore cammina. E vede qualcosa.

Da qui in poi ogni capitolo del romanzo di Bertante è un avanzamento nella toponomastica milanese (Porta Vittoria, Palazzo di Giustizia, Parco Sempione, San Babila, Piazza Fontana, la Statale) dove enormi autocarri sormontati da smisurati altoparlanti si incolonnano guidando nel gran caldo, prima pomeridiano e poi notturno, un flusso incontenibile di giovani danzanti, corrente umana che senza prendere fiato si muove scomposta come seguisse un pifferaio magico. L’aria è sempre più irrespirabile, la figlia Micol non risponde al cellulare, la celere e gli elicotteri si uniscono all’aggressività della temperatura e della massa di danzatori inebetiti che hanno invaso ogni metro del centro cittadino. Bottiglie d’acqua, alcol e Xanax, sudore e paura saturano il corpo di Boscolo. L’amico professore, a cui si rivolge chiedendo un aiuto, gli parla della Piaga del Ballo di Strasburgo del 1518, e della storia del ballo di San Vito con le patologie connesse a queste misteriose epidemie: ma gli unici conforti giungono dal pastis offerto e dalla chimica delle pillole. Nessuna spiegazione di quanto sta succedendo. E la figlia Micol è là in mezzo da qualche parte. La moltitudine incontrollata diventa presto un intreccio impastato di calore definitivo, e di psicosi governata da linguaggi incomprensibili venuti da tempi lontani. Nel corpo multiforme dei ragazzi danzatori s’innestano manipoli di guerriglieri urbani di ben diverso comportamento. Il film trasla verso una mutazione, un pericolo che adulti depressi e polizia spaventata e repressiva non sono in grado di affrontare.

La bravura di Bertante nel seguire il vortice parossistico degli eventi ci porta in poche pagine a un tempo che collassa in qualcosa di definitivo, qualcosa che qui non si può dire perché rasenta l’origine vera della storia. E, al dunque, della Storia in cui sta l’intimità del nostro Paese. Non solo, evidentemente, di Milano. I mondi si trasformano: E tutti danzarono ci racconta – come una visione di Alberto Burri vista dall’alto – uno dei fenomeni che mostrano senza censura questa metamorfosi. Il racconto del dopo, se qualcuno ci riuscirà, per ora è un’allucinazione.