Alessandro Barbaglia, novarese, nato nel 1980, nel 2017 finalista al Premio Bancarella con L’Atlante dell’Invisibile, arriva al terzo romanzo pubblicato con Mondadori e forse è ora di tentare un bilancio su una scrittura che consolida la propria originalità di romanzo in romanzo.
Mi fa uno strano effetto la lettura di Barbaglia, autore che conosco di persona. Per esempio, trovo stridente il contrasto tra la confezione e il contenuto: la prima ammicca a un pubblico di maniera, diciamo “generalista”, abituato a una letteratura di consumo, nel solco di un gusto che l’industria editoriale ha forgiato poco per volta; il secondo invece è un prodotto intelligente, suggestivo e anche complesso, che se scende a qualche compromesso editoriale è solo per portare il lettore un po’ più in là, alla soglia di un twist narrativo inatteso.
Faccio un esempio. Sulla copertina di questo romanzo, sotto il titolo, c’è la consueta frase-slogan di richiamo: “Siamo sempre e solo il risultato degli incontri che facciamo. Siamo sempre e solo la storia delle nostre storie d’amore.” Ecco, uno motto appiccicato lì, neppure becero intendiamoci, ma chiaramente ammicca a un certo tipo di lettore cercando di indirizzarlo verso un determinato “tono”; è quello che fanno molte case editrici, dato che lo slogan cattura l’attenzione più della quarta di copertina, che risulta anche lunga da leggere quando sei in libreria e cerchi una novità.
Bene, è anche vero che io sono tra coloro che difficilmente scelgono il libro dalla quarta di copertina, un tentativo di riassunto critico che non lascia intravedere nulla dello stile, del contenuto. Al contrario, sono tra quelli che scelgono in base all’autore o alla copertina. Sì, certo, alla copertina, che nel caso di Nella balena è bellissima, con una paletta di colori caldi e un po’ rétro, un cetaceo che si immerge non nelle acque ma nel cielo, circondato da nuvole arancioni. In questo caso, è ovvio, ho scelto per l’autore. Eppure quella copertina…
E dunque, il contenuto è altra cosa dal contenitore, veste grafica, illustrazione, slogan; nel caso di questo romanzo, come i due che l’hanno preceduto, c’è tuttavia un secondo contenitore, che è quello della storia à la page di buoni sentimenti e personaggi in cui identificarsi facilmente: tutt’altro che da disprezzare, è una letteratura che si rivolge a quella fetta di pubblico poco interessata alle emozioni forti ma epidermiche del thriller. Se c’è un contenitore, di conseguenza ci sarà anche un contenuto. Eccolo infatti, un po’ dissimulato ma sorprendente, a metà strada tra certe iperboliche costruzioni di Maurizio Maggiani e lo stile paradossale, intimo e metaforico di Stefano Benni.
La trama salta tra un presente della narrazione, che vede il protagonista Cerro alle prese con questioni sentimentali, e con la difficile gestione dell’anziano padre arteriosclerotico, e un passato itinerante, tra gli anni Trenta e oggi, che parte dal Midwest statunitense per arrivare a Novara. Non è esattamente una trama a capitoli alternati, presente e flashback; la struttura è meno definita, non c’è un incastro perfetto con due vettori narrativi che convergono verso il climax. I flashback saltano fuori a sorpresa, senza un vero ritmo, per rarefarsi e scomparire a mano a mano che la storia procede.
La balena del titolo è un vero cetaceo acquistato in Norvegia e imbalsamato — ma la cosa non viene mai specificata in dettaglio — e trasportato in tournée in tutta Italia e buona parte d’Europa tra il 1954 e il 1982, per poi finire in “disarmo” in una cascina piemontese. La tournée è un dato reale, in appendice al libro è trascritto anche l’itinerario della balena Goliath, Barbaglia possiede poster originali trovati presso i collezionisti antiquari di locandine. “Basato su una storia vera”, dunque? No, per fortuna no. Non riesco a esprimere compiutamente l’irritazione che provo quando leggo questa etichetta, soprattutto nella fiction cinematografica e televisiva: è come se si dicesse “la realtà è più incredibile dell’invenzione”. Per fortuna, grazie Alessandro, grazie Mondadori, la parte realistica della storia è relegata ai Ringraziamenti in appendice.
Come se la letteratura avesse qualcosa da spartire con la realtà…
Il vero protagonista è Cerro, responsabile di un ufficio oggetti smarriti, anzi oggetti ritrovati. Già questo particolare è significativo. Ci sono poi il padre smemorato, medico in pensione, i brevi flashback sulla madre morta troppo giovane, la cameriera-badante-tuttofare, e poi c’è una giovane donna dal carattere originale, ribelle, imprevedibile, un rituale di corteggiamento inusuale, surrealista direi, riverberato nel passato da un’avventura sentimentale di Herman, l’impresario di Goliath, a Taranto.
Basta, più o meno è tutto qui: non c’è retorica dei sentimenti, e Barbaglia evita quel sapore un po’ fiabesco di certe situazioni, puntando piuttosto sul pastiche, sulla de-mitizzazione di certa retorica piaciona, nella direzione forse indicata da Stefano Benni, che dopo aver asciugato l’esilarante comicità surreale delle prime opere, è riuscito a non cadere nella trappola del dolceamaro.
Non saprei dire se Nella balena sia una lettura da ombrellone. Io l’ho gustato la sera tardi, sdraiato nel silenzio, sorpreso dalla varietà di sensazioni che provavo; e non è poco.