Come in un sistema di sistole e diastole, Jorge Luis Borges appare e scompare dal centro della letteratura, sempre attuale, sempre inattuale, un fenomeno di grandezze incomprensibili, di complessità che appaiono semplici, riga dopo riga, verso dopo verso, parola dopo parola, e forse sono davvero semplici, se ogni riga, ogni verso, ogni parola sono presi a sé, perché appartengono indubbiamente al nostro mondo e alle nostre capacità di contenerlo: eppure, nel loro comporsi, riflettono mondi altri, lontani, ammiccanti, prismatici e sfuggenti.
Borges è come questo libro, che con un titolo sommesso presenta un intento titanico: leggere Borges. Perché leggerlo significa prepararsi alla sua onnipresenza: fiumi di anni, di individui e di storie che scorrono, e sempre li trasporta la stessa corrente, lo stesso flusso di un tempo che tutto contiene e che è sempre uguale a se stesso, di uno spazio che è sempre uno. Personaggi indimenticabili che proiettano la stessa ombra, ed è l’ombra del loro artefice: un bazar infinito di luoghi e di persone, che si riflettono sulla lama dello stesso coltello, negli occhi della stessa tigre. Il mondo di Borges è infinito, eppure si riduce alle dimensioni di una storia di poche pagine, come la sua celebre Biblioteca (che alcuni chiamano universo), e in questo consiste il suo fascino, che è di carattere illusorio, illusionistico, illusivo. Questo libro ci insegna a leggere Borges, riportandone l’opera a tratti chiari, luminosi, perspicui, senza ridurne la complessità, ma anzi esaltandola in un inevitabile – perché non esibito – gioco di rimandi che discende da una conoscenza profonda dell’autore argentino.
Suddiviso in brevi capitoli che seguono il corso della sua vita e della sua opera (della sua vita che è la sua opera), il lavoro di Alessandra Ghezzani ci mostra nel proprio svolgersi l’evoluzione di un autore che non evolve, che alla fine della sua parabola ritorna all’inizio, e che tuttavia al vertice di quella parabola – con l’opera degli anni centrali, le prose di Finzioni e Aleph – si affaccia su visioni che vanno oltre quei racconti, e che pure quei racconti contengono. Visioni abbacinanti, che si offrono con la semplicità disarmante della matematica più elementare e dalla quale tuttavia scaturiscono sistemi di inesorabile complessità.
Leggere Borges si snoda in un percorso rigoroso attraverso il tempo e attraverso l’opera borgesiana, mettendone a frutto criticamente un principio che è quello della linea retta, dello spazio aperto e sconfinato, che è il labirinto più inesorabile, come impara a sue spese il re di Babilonia in I due re e i due labirinti, offrendo tuttavia a tale principio una direzione e un senso che mettono al riparo dal pericolo di smarrirsi nella continua vertigine, che offrono un sistema coerente in cui trovano posto le rivelazioni a effetto, le epifanie, la chiarezza talvolta abbacinante e talvolta narcotizzante di certe visioni, le strade maestre e i vicoli ciechi di una prosa che sovrappone i piani del reale e dell’immaginario, fino a fondere tutto in unico punto grande quanto l’universo, fino a farlo sembrare facile, leggere Borges.
Che forse è facile davvero, come è facile leggere Kafka, di quella facilità illusoria che offre la ragione più estrema, quella che sfiora pericolosamente l’abisso metafisico, la meraviglia di geometrie assolute tradotte in costruzioni narrative. E, secondo quanto Borges ci ha spiegato in un suo indimenticabile scritto, come è impossibile non ritrovare Kafka in ciò che l’esistenza di Kafka ha reso kafkiano in ciò che è venuto dopo di lui e prima di lui, tanto nella letteratura quanto nel mondo che ci circonda e si offre alla nostra percezione, così è impossibile non ritrovare Borges in mille autori che lo seguono e lo precedono, lo imitano e ne sono imitati, in una teoria ininterrotta che sancisce la verità al fondo della sua opera: che tutto è uno e che tutti gli uomini sono un uomo solo. Parafrasando Nietzsche e il suo “biglietto della follia” a Georg Brandes: trovare Borges è stato un gioco di prestigio, difficile ora è perderlo.