Alberto Schiavone sceglie Bohumil Hrabal

Alberto Schiavone, scrittore e libraio torinese, conosce bene il peso dell’oggetto libro nella vita di un lettore, e la sua scelta è di fatto caduta proprio su un romanzo che parla di questo, della passione per i libri. Un legame quello tra lettore e libro difficile da spezzare, una lunga storia d’amore che quando sboccia è per sempre. Anche in un personaggio come il protagonista del romanzo di Hrabal che per lavoro compatta libri mandati al macero.


“Da trentacinque anni lavoro alla carta vecchia ed è la mia love story. Da trentacinque anni presso carta vecchia e libri, da trentacinque anni mi imbratto con i caratteri, sicché assomiglio alle enciclopedie, delle quali in questo tempo avrò pressato sicuramente trenta quintali, sono una brocca piena di acqua viva e morta, basta inclinarsi un poco e da me scorrono pensieri tutti belli, contro la mia volontà sono istruito e così in realtà neppure so quali pensieri sono miei e provengono da me e quali li ho letti, e così in questi trentacinque anni mi sono connesso con me stesso e col mondo intorno a me, perché io quando leggo in realtà non leggo, io infilo una bella frase nel beccuccio e la succhio come una caramella, come se sorseggiassi a lungo un bicchierino di liquore, finché quel pensiero in me si scioglie come alcol, si infiltra dentro di me così a lungo che mi sta non soltanto nel cuore e nel cervello, ma mi cola per le vene fino alle radicine dei capillari. Così in un solo mese presso in media venti quintali di libri, ma per trovare la forza per questo mio benedetto lavoro, così in questi trentacinque anni ho bevuto tanta birra che questa lager formerebbe una piscina da cinquanta metri, una parco di peschiere per le carpe di Natale. Così contro la mia volontà sono diventato saggio e sto adesso accertando che il mio cervello è fatto di pensieri lavorati dalla pressa idraulica, di pacchi d’idee, una noce di Cenerentola è la mia testa.

Da trentacinque anni imballo carta vecchia e libri e vivo in un paese che da quindici generazioni sa leggere e scrivere, abito in un ex regno nel quale era ed è costume e mania pressarsi pazientemente dentro la testa pensieri e immagini che apportano una indescrivibile gioia e un ancora più grande dolore, vivo fra uomini che per un pacco di pensieri pressati sono capaci di dare anche la vita. E adesso tutto ciò si ripete dentro di me, da trentacinque anni pigio i bottoni verde e rosso della mia pressa, da trentacinque anni però bevo anche brocche di birra, non certo per il bere, io ho orrore degli ubriachi, io bevo per aiutare il pensiero, per arrivare meglio al cuore stesso dei testi, perché quello che io leggo non è né per divertimento né per far passare il tempo o addirittura per addormentarmi meglio, io, che vivo in un paese in cui quindici generazioni sanno leggere e scrivere, io bevo per poter non dormire mai più a causa della lettura, perché la lettura mi faccia venire il tremito, poiché io condivido con Hegel quell’opinione che un uomo nobile è poco un nobile e un criminale è poco un assassino. Se io sapessi scrivere, scriverei un libro sulla maggiore felicità e sulla maggiore infelicità dell’uomo. Attraverso i libri e dai libri ho appreso che i cieli non sono affatto umani e che un uomo che sa pensare, anche lui non è umano, non che non lo voglia, ma ciò contrasta con il giusto modo di pensare”.

 Da Una solitudine troppo rumorosa di Bohumil Hrabal (Einaudi, tr. Sergio Corduas)

 

L’incipit di questo breve denso intenso maestoso romanzo è quanto di più mi è caro al mondo, è entrato a far parte della mia vita, e come tutte le cose di cui ci innamoriamo sentiamo la voglia e la necessità di prometterle al mondo come cura alla noia e al nero. Ho regalato e venduto e consigliato centinaia, credo migliaia di copie di questo libro. Non so per la maggior parte che fine abbia fatto questo mio gesto, questa freccia dove sia finita. So che in meno di cento pagine Hrabal è riuscito a registrare l’amaro e il dolce e lo sconforto e l’allegria degli esseri umani e delle storie del mondo dentro la Storia. Mica poco, per un parallelepipedo di carta.

 

 

Alberto Schiavone è nato a Torino nel 1980. Ha esordito nel 2009 con La mischia (Cult Editore) definito da Gianni Mura uno dei migliori libri sportivi dell’anno. In seguito ha pubblicato i romanzi La libreria dell’armadillo (Rizzoli, 2012), Nessuna carezza (Baldini&Castoldi, 2014) e nel 2017 pubblica con Guanda Ogni spazio felice, aggiudicandosi il Premio Fiesole Narrativa Under 40.  Il suo ultimo romanzo è Dolcissima abitudine (Guanda, 2019).