Negli ultimi anni, sono state numerose le traduzioni, disseminate in alcuni cataloghi editoriali anche piuttosto diversi tra loro (Logos, Arcoiris, e Wojtek soprattutto), che hanno dato conto anche in Italia della grandezza dell’opera dello scrittore argentino Alberto Laiseca (1941-2006). Per chi scrive, si tratta di una presenza dagli effetti ormai paragonabili a quelle di Gabriel García Márquez per il cosiddetto “realismo magico” (etichetta, peraltro, assai discutibile) o di Roberto Bolaño, per le tendenze massimaliste delle opere-mondo contemporanee: una fascinazione simile, e cioè non soltanto a livello di pubblico e di critica, ma anche di poetica, può essere riscontrata, nel caso di Laiseca, in tutto ciò che ruota attorno al cosiddetto new weird italiano (o anche “novo sconcertante italico”, citando il titolo dell’antologia nuova di zecca per i tipi di Bompiani, molto chiacchierata nelle ultime settimane). Ruotando attorno, oppure esorbitandone, come si conviene parlando di uno scrittore che ha investito molto nei vari modi della degradazione e dell’esplosione della materia letteraria, ma sempre per eccesso e ipotiposi.
Tutto questo grazie anche al plagio, che è al centro di questa nuova pubblicazione, nella collana Ostranenie, curata da un pool di critici e traduttori (Loris Tassi, Federica Arnoldi, Alfredo Zucchi e Luca Mignola) che ha a cuore l’autore, ma anche, e forse in modo preponderante, un ragionamento ampio e transnazionale sulla letteratura contemporanea, chiaramente esemplificato proprio dalle pubblicazioni precedenti della collana di Wojtek (Ricardo Piglia, Teoria della prosa, 2021, e Danilo Kiš, L’ultimo bastione del buon senso, 2022) unite da un filo rosso molto solido e, appunto, di portata perlomeno transoceanica.
Per tornare al plagio di Laiseca, non si tratta di semplice strumentalità, ma di una parte integrante dei suoi mondi finzionali e, d’altra parte, non siamo di fronte alla teorizzazione di stampo postmodernista, sterile e fuori tempo massimo, del “tutto è già stato detto, tutto è già stato scritto”, ma a un organismo vivente, e più spesso a un germe, a un batterio aerobico che contamina gioiosamente – già a partire dal titolo: Per favore, plagiatemi! – tanto la teoria quanto la pratica.
Lo si nota guardando alla composizione del libro, dove una prima parte apparentemente più teorica, e che reca lo stesso titolo del libro, è seguita da quattro appendici più chiaramente pratiche (e non “creative”, perché, naturalmente, la creatività è il nemico, o forse il demone, del plagio) che, tuttavia, si rincorrono e si ibridano mostruosamente tra loro. Gioia, dunque, e insieme terrore: una delle immagini più azzeccate per descrivere l’esperienza della lettura di Laiseca è stata proposta da Luciano Funetta nella recensione di questo volume per Robinson, con l’evocazione di un “parco divertimenti costruito sul soglio di un crepaccio”.
C’è un crepaccio, da ultimo, che si spalanca in Per favore, plagiatemi!, pur non avendo i crismi della scrittura dell’orrore. Riguarda, in particolare, la possibilità di costruire una posizione critica – che sia innovativa… o magari creativa! – che riesca a parlare adeguatamente di un volume insieme teorico e pratico, basato, per di più, sui valori non della creatività ma del plagio. Non si tratta necessariamente di una debolezza della critica né del testo: davanti a un volume che rincorre tutti gli angoli più paradossali e iperbolici della questione, l’unico modo verosimile per aggirare l’abisso che si spalanca a chi voglia analizzare in modo sofisticato, o anche intellettualizzare, il testo di Laiseca è quello di offrire un’appendice a questa recensione che sia costruita esclusivamente plagiando, e in modo quasi pedissequo, alcuni passaggi del suo libro. Ovvero di tutti gli altri libri che, borgesianamente, hanno concorso alla pubblicazione di questo nuovo tassello fondamentale nell’opera di Laiseca. E, a questo punto, di molti altri autori, sia prima che dopo di lui.
Appendice
Lascia che ti spieghi, compagno tecnocrate (la Tecnocrazia ha creato un organismo incaricato di vigilare sul rispetto della proprietà intellettuale): plagiare senza farsi scoprire presuppone poco meno di una meccanica quantistica d’avanguardia. Così come la materia si compone di neutroni, elettroni, neutrini, pioni, eccetera, così ci sono protoni tempo, elettroni tempo, tempo neutroni, eccetera.
Tuttavia, quando un movimento si ripete, non è un buon movimento.
Alla luce di tutto questo, nessun plagio deve ripetersi. Bisogna sempre cercare nuove forme.
D’altronde, si può anche dire che il plagio sia un assoluto. È come il genio della lampada di Aladino: obbedisce all’ultimo padrone. (A proposito dell’obbedire: chiunque può essere leale, tradire è per gli eletti).
Tutti questi pensieri contraddittori erano per me come dati nella memoria di un computer, e io non ho mai sopportato fino in fondo lo spettacolo di un computer morto.
Un computer morto indica che bisogna tornare al principio, all’osservatorio delle rovine. A quel punto, ne esce qualcosa di strano: anche per plagiare è necessario l’amore.
Quando odi troppo qualcuno, anche se cerchi di plagiarlo, viene fuori un’altra cosa.
E quindi: per favore, amatemi! Ma dopo che ho pubblicato.