Non so se ci vuole coraggio, per ricordarci le meraviglie che ci circondano, o se semplicemente basta ricordarsi che siamo vivi e che finché siamo vivi tutto è possibile. Siamo circondati da una narrazione catastrofista e apocalittica. Che tende a far vedere solo gli orrori, che di certo non mancano e ci spaventano. Ci spaventano le guerre e la crudeltà che sappiamo essere parte di noi. Ci spaventano l’indifferenza con cui allontaniamo ciò che ci disturba e la quotidianità che ci si impone in qualunque condizione. Ci spaventa il cambiamento climatico, che si sta manifestando con alluvioni e siccità, temporali e cicloni, una furia della natura a cui nel nostro paese non eravamo abituati. Ci spaventa la natura, che avevamo creduto domata per sempre e che invece sembra volerci restituire tutto il disprezzo e la protervia con cui l’abbiamo trattata.
Eppure il mondo è ancora pieno di meraviglie. Le lucciole sono un prodigio, e se è vero che ce ne sono meno di una volta, ce ne sono ancora. Gli alberi di catalpa, alti fino a diciotto metri, stanno ancora lì a proteggerci dal solleone. Gli scriccioli dei cactus, uccellini di piccole dimensioni che non hanno bisogno di bere perché si idratano con la frutta e gli insetti che ingeriscono, svolazzando ancora nel deserto. Il narvalo si inabissa anche a millecinquecento metri di profondità e nasconde nel suo dente un sonar che è tra i più precisi del regno animale: è una specie in via di estinzione, ma non si è ancora estinto. E mentre alcune specie in effetti scompaiono, altre se ne scoprono. Il nostro sguardo può essere ancora pieno di stupore.
In questo libro molto bello, illustrato con delicatezza e leggerezza, Aimee Nezhukumatathil ci racconta come lei stessa, di fronte alle difficoltà della vita, a partire dall’infanzia, è ricorsa alle meraviglie della natura per trovare delle risposte, o semplicemente dei modi per affrontare le avversità della vita, aggirare gli ostacoli e ritrovare l’equilibrio. Poetessa di origini filippine e indiane, Nezhukumatathil ha vissuto in diversi posti in America, ha viaggiato e ha visitato i luoghi più diversi. Ha sperimentato le difficoltà di avere la pelle di un altro colore e di crescere tra ragazze diverse da lei. Ha vissuto lo smarrimento di cambiare casa, scuola, ambiente, clima, con una frequenza che non ha scelto né desiderato. E poi la maternità l’ha portata a dover decidere cosa dire e come essere di esempio ai propri figli, mulatti e girovaghi. In tutto questo, la sua guida sono stati gli studi e le conoscenze degli animali e delle piante – quelli che incontrava dal vivo, quelli che andava a scovare nelle sue ricerche.
Il suo sguardo sulla natura è limpido e gentile: non ci sono animali o piante brutti o cattivi, ognuno ha una sua dimensione e nel mondo c’è posto per tutti. Non solo, ogni essere vivente ci può insegnare qualcosa: la sua strategia di sopravvivenza può essere un trucco che possiamo applicare a un momento particolare della nostra vita. L’axolotl ci insegna a sorridere, persino di fronte alla scortesia. La sensitiva, o Mimosa pudica, ci aiuta a scrollarci di dosso le avances indesiderate. E anche senza scomodare ambiente esotici e animali suggestivi e particolari, basta guardarsi intorno in un prato o in un bosco, osservare l’attività incessante di formiche e insetti, gli scoiattoli che si arrampicano sugli alberi e gli uccelli che cinguettando si mandano messaggi; e anche le piante, in un linguaggio che neppure sappiamo percepire, si parlano, si avvisano dei pericoli, condividono le buone e le cattive notizie, si preparano ad affrontare le avversità e i cambiamenti.
Nello sguardo di Nezhukumatathil siamo tutti diversi e tutti sorprendenti. Siamo tutti parte di uno stesso orizzonte. Non siamo più soli, quando riusciamo a percepire che siamo uniti al resto del vivente. È uno sguardo che ha saputo conservare lo stupore dell’infanzia, quando tutto è nuovo e sconosciuto e interessante. Ma è anche lo sguardo dello studioso e dello scienziato: niente come la conoscenza riesce a stupirci continuamente, e stupendoci ci arricchisce e nello stesso tempo ci lascia intatti, pronti ad essere di nuovo sorpresi. Questo sguardo appartiene a tutti, tutti lo abbiamo sperimentato e lo conserviamo dentro di noi. Dobbiamo ritrovarlo, e poi allenarlo. Può diventare il nostro antidoto alla noia del quotidiano e allo sgomento di fronte alle prospettive incerte o alla mancanza di prospettive, la nostra arma contro le cattive notizie che cercano di avvelenarci le giornate. Forti del nostro ritrovato spirito di osservazione e della nostra capacità di empatia verso gli altri esseri viventi, saremo anche noi più pronti ad affrontare i cambiamenti e le sfide che la vita ci propone incessantemente. Saremo vivi e presenti, partecipi e attivi. E qualche volta anche felici.