Adrián N. Bravi / Adelaida con la A

Adrián N. Bravi, Adelaida, Nutrimenti, pp. 144, euro 17,00 stampa, euro 8,99 epub

Deviando un po’, ma non del tutto, dalle strade più battute della sua produzione narrativa – ormai considerevole, sia per quantità che per rilievo letterario – l’ultimo libro di Adrián N. Bravi, Adelaida, si presenta come la biografia, come recita la quarta di copertina, di “una delle figure femminili più sorprendenti dell’Argentina del secolo scorso”. Adelaida Gigli, in effetti, è stata letterata e scultrice, fondatrice dell’importante rivista argentina “Contorno” negli anni Cinquanta, moglie dello scrittore David Viñas (ancora inedito in Italia, malgrado la sua importanza nel secondo Novecento argentino) e madre di due militanti montoneros, entrambi desaparecidos nel periodo della dittatura argentina. Inoltre, la traiettoria biografica e geografica di Adelaida si è mossa tra Recanati e Buenos Aires, sovrapponendosi così a quella di Bravi, che a Recanati vive tuttora, e creando le condizioni per quell’incontro (La vita, amico, è l’arte dell’incontro, per citare il disco nato dalla collaborazione tra Vinícius de Moraes, Sergio Endrigo e Giuseppe Ungaretti nel 1969) che è alla base dell’indagine biografica, autobiografica, letteraria e politica di Adelaida.

Adelaida con la A, e non con la E, come Bravi sottolinea già nelle prime pagine del libro, rivendicando la preminenza del nome in spagnolo non per un fatto identitario, ma per il motivo diametralmente opposto: Adelaida con la A “mantiene ancora aperte le sue relazioni con la propria storia, le sue insurrezioni”, scrive Bravi, “perché era in questo modo che figurava nell’elenco degli assassini”, ovvero nella lista nera della dittatura argentina che – ammantandosi, appunto, dell’identità nazionale, e di tanta altra retorica comune ai regimi nazionalisti e fascisti – aveva ucciso i suoi figli Mini e Lorenzo Ismael e l’aveva costretta a tornare in Italia, dov’era nata, nel 1978.

L’incontro con l’autore avviene dieci anni dopo: ne nasce una lunga frequentazione, durata fino alla morte di Adelaida Gigli, nel 2010. Ripercorrere quest’amicizia, per Bravi, è anche un modo per tenere in vita molteplici memorie, sul piano sia individuale sia collettivo: un percorso non privo di rimorsi (“Avrei dovuto domandarle più cose della sua vita, prendere appunti, conoscere più dettagli che la riguardavano”) ma anche di tanti momenti, se non più spensierati, certamente più leggeri. Pare inevitabile, allora, che le pagine di Bravi si facciano narrativamente ed emotivamente dense quando si tratta di affrontare la militanza e poi le morti di Mini e di Lorenzo Ismael, perché il tentativo è anche quello di aprire uno spiraglio inedito e peculiare sulla storia oggi raccontata da più parti, ma forse mai in tutto e per tutto raccontabile, dei montoneros. Non mancano, però, episodi più quotidiani e a tratti divertenti, nei ricordi di una donna spesso incontrata, dopo i sessant’anni, con un bicchiere di whisky e una sigaretta in mano – la stessa leggerezza di una donna che scolpiva Con lievi mani, come scrive Bravi, usando un’espressione di quella Cristina Campo che Adelaida Gigli aveva tanto letto, compulsato e amato.

Tra questi ricordi, ha ad esempio tratti ironici, ma anche sapienziali, la discussione sulla letteratura sudamericana che si trova sempre nelle prime pagine del libro, nel corso della quale Adelaida consiglia a Bravi la lettura di tanti autori latinoamericani canonici (Marechal, Vallejo, Lezama Lima, Cortázar, etc.) “per poi dimenticarli”, mentre gli autori “da leggere per ultimi” e da ricordare sarebbero soltanto Juan Rulfo e Roberto Arlt. Perché popolari e immaginifici, forse, ma sicuramente anche affini all’esuberanza vitale e intellettuale della stessa Adelaida.

Ora, se il fatto di leggere per poi dimenticare collima perfettamente con le esigenze dell’apprendistato culturale e letterario, la presenza dell’oblio si rivela, infine, tragicamente ironica nella vita di Adelaida, condensandosi, negli ultimi anni di vita, nella sua esperienza del morbo di Alzheimer. Si tratta di un doloroso buco nero della biografia individuale che riverbera nelle lacune traumatiche della memoria collettiva: Bravi affronta entrambi gli abissi con una penna spesso affranta e malinconica, ma senza indulgere in alcuna retorica, e rendendo ancora più alto il compito di memoria che si è prefissato.