Rachele ha dodici anni, frequenta la seconda media, abita a Milano e, per la recita dell’ultimo Natale del Millennio, gli insegnati l’hanno scelta per interpretare Maria, la madre di Gesù Bambino. Suo padre, però, si oppone perché, pur non essendo osservanti, la sua è una famiglia di benestanti avvocati ebrei. L’Italia è piena di chiese e conventi e non vuole influenze cattoliche sulla figlia, che si sta anche preparando per il suo Bat Mitzvah.
Per quanto contrariata (“A volte faccio proprio fatica con questo papà che mi hai dato”, dice Rachele al nonno paterno), Rachele percepisce l’atmosfera tesa e preoccupata che circonda suo padre, afflitto da una misteriosa malattia – un’appendice nella testa, come lei la chiama – per la quale deve subire un intervento. Inoltre, si stanno avvicinando le vacanze di Natale, e Rachele partirà con i genitori per una vacanza in montagna, non potrà stare con i nonni materni non ebrei (anzi: cattolicissimo il nonno, mentre la nonna è atea convinta), e nemmeno con Diana, la cagna un po’ in là con gli anni che sta per partorire dei cuccioli. E poi c’è il libro che un’anziana professoressa, ormai in pensione, le ha dato da leggere, un libro pieno di storie dal sapore un po’ antico per una ragazzina moderna, ma che nonostante tutto l’attirano così tanto.
È lei, Rachele, la protagonista del nuovo e, probabilmente, ultimo romanzo di Abraham B. Yehoshua: ultimo perché lo scrittore israeliano, nato a Gerusalemme nel 1936, ha dichiarato di essere malato e di doversi dedicare alla sua salute; inoltre, dopo la morte della moglie e di tanti amici, tra cui il collega Amos Oz, è ormai stanco anche della scrittura.
Per nostra fortuna di lettori e lettrici, però, Yehoshua ha avuto l’ispirazione di scrivere ancora questo romanzo (tradotto dalla bravissima Shomroni), la cui storia si svolge a cavallo tra i due millenni. Lo scrittore non è nuovo a scelte temporali importanti e di passaggio: già in Viaggio alla fine del millennio, romanzo del 1997, l’autore israeliano aveva raccontato la storia del viaggio da Tangeri a Parigi di un mercante ebreo, a pochi mesi dallo scoccare del fatidico anno Mille.
Nuova e originale è, invece, la scelta del nostro paese come ambientazione per la vicenda della giovane Rachele, ragazzina curiosa, perspicace e sveglia, che sta per affacciarsi alla vita. Con i dubbi e le inquietudini che possono avere tutte le ragazzine del mondo, ma che in Rachele sono aumentate dal fatto di essere un’ebrea in terra cattolica, di avere nonni di credenze e atteggiamenti diversissimi tra loro (memorabile il personaggio di Leah, la nonna paterna, raffinata signora che vive nella villa sul mare di un suo probabile amante e che ospita la nipote per qualche giorno durante le vacanze natalizie), nell’incertezza per la salute del padre. La crisi identitaria e di appartenenza, i dubbi sul passato e il futuro: temi importanti che la letteratura ebraica ha sempre cercato di affrontare e che Yehoshua, ottantacinquenne scrittore alla fine della sua esperienza esistenziale, sa rendere al meglio, con sensibilità e delicatezza, in questo breve romanzo attraverso una figura tenera e ancora ingenua sui fatti della vita.
E poi, come dicevamo, c’è il libro che la ragazzina deve leggere, il famoso Cuore di De Amicis, che respinge e allo stesso tempo attira Rachele, la quale non si capacita di come il piccolo scrivano fiorentino possa aiutare il padre copiando per lui e a sua insaputa indirizzi durante la notte.
“Rachele si ricorda del libro Cuore, posato la sera prima dalla domestica etiope accanto al letto, lo cerca a tentoni e lo porta sotto la coperta. Lo bacia al buio e pensa alla professoressa Gironi che le ha chiesto non solo di finire il racconto interrotto durante l’ultima lezione, ma di sceglierne un altro e di fare un confronto tra i due”. Un omaggio che Yehoshua vuole rendere a un libro importante nella sua formazione di giovane lettore e di futuro scrittore, come lui stesso ha dichiarato in un’intervista.
Che sia o no l’ultimo da lui scritto nella sua straordinaria carriera letteraria, La figlia unica si dimostra un romanzo universale, dove Yehoshua dà prova ancora una volta, come già in tanti altri suoi lavori, che le storie raccontate da un grande scrittore racchiudono sempre grandi domande che riguardano tutti, indipendentemente da chi siamo e da quale sia la nostra esperienza di vita. Con grazia e leggerezza, e anche con un pizzico di ironia, lo scrittore israeliano ci invita a ragionare sulla nostra identità e su quello che è davvero importante per noi, per la nostra storia.