Con la nuova antologia Futugrammi continua l’esplorazione di Future Fiction nella galassia della fantascienza cinese, impresa che non è esagerato definire pionieristica, non solo perché è dal 2017 che porta questo importante settore di sci-fi ai lettori di lingua italiana, ma anche per l’estensione di autori, autrici e temi raggiunta nelle sue ormai numerose pubblicazioni. Chi ha già avuto modo di apprezzare altri scrittori che stanno sviluppando il genere della fantascienza dalla prospettiva unica di un Paese ormai all’avanguardia nelle iper-tecnologie (con tutte le contraddizioni e le disparità territoriali del caso, che non a caso fanno capolino in diversi racconti), ritroverà qui alcuni degli elementi che li rendono più interessanti. In primis la tendenza a spingere all’estremo i rischi, le potenzialità e i limiti di una vasta gamma di realtà tecnologiche proprio laddove – la Cina, appunto – sembrano oggi essere più pervasive che mai. Per inciso, anche in questo caso la scelta di pubblicare i testi in lingua originale, oltre alla traduzione, è encomiabile e sarà molto apprezzata da studenti e appassionati come il sottoscritto (che è un po’ entrambe le cose).
Se si esclude Chen Qiufan, che può già vantare diverse opere in italiano, Futugrammi presenta scrittori e scrittici relativamente giovani e nuovi, di certo per il panorama nostrano. Se dovessimo fare dei paragoni, la loro è una narrativa che mischia Ursula Le Guin e Black Mirror con un po’ di Philip Dick. I racconti scelti hanno stili anche molto diversi fra loro: alcuni presentano trame articolate, ricche di personaggi, situazioni e culture (alla Le Guin, appunto), altri si svolgono in spazi più ristretti, addirittura quasi del tutto all’interno di un dialogo o un incontro.
Fra i diversi fili conduttori che uniscono i racconti, il più evidente è quello sulla de-umanizzazione – o post-umanizzazione, a seconda delle prospettive – prodotta dall’insinuarsi delle tecnologie sempre più in profondità nei corpi degli esseri umani. In questo coacervo di intelligenza artificiale ed embrioni di metaverso si apre il dubbio su cosa sia veramente reale: trovare una IA più interessante dei propri simili può portare a mettere in discussione la propria stessa umanità (Chen Qiufan); nell’eterna immutabilità di un’esistenza prolungata all’infinito si perde il valore delle cose e dei sentimenti (Bella Han); vite strappate artificialmente alla morte trovano la rinascita più fredda del congelamento che l’ha resa possibile (Zhang Ran). Il prezzo della simbiosi fra umano e non-umano è un inesorabile senso di autenticità, o, paradossalmente, una realtà distopica sottomessa alle tecnologie di sorveglianza a cui è impossibile sfuggire: siano esse un algoritmo onnipresente (Jiang Bo), o la rimozione della coscienza basata sul libero arbitrio in cambio della ripetizione meccanica di norme culturali introiettate (Su Min). Questo spunto tra l’altro si avvicina moltissimo a Lu Xun, il grande scrittore di inizio Novecento, acuto critico della cultura tradizionale reazionaria e della sua presa sulle menti del popolo. Ben poco “futuribile” e molto attuale è il racconto di Yang Ping, dove l’epidemia di un morbo legato al sangue porta a una guerra fratricida e a discriminazioni fra persone di gruppi sanguigni diversi, ma anche qui, come nel nostro universo, il “razzismo” fa da copertura a ben altre motivazioni.
Insomma, il futuro prossimo immaginato da questi scrittori e scrittrici nasce da un’esigenza di leggere il presente. Nulla di nuovo per la fantascienza, certo. La novità sta nel fatto che i confini fra presente e futuro sono sempre più labili e indistinguibili, e si fa sempre più fatica a immaginare un futuro che non sia verosimile o che possa produrre vero straniamento.