Michel Houellebecq. Voyage au bout de la lutte?

Michel Houellebecq, pseudonimo di Michel Thomas (Réunion, 1956) – cresciuto in Algeria come Albert Camus, adottato dalla nonna da cui prende il nome come Louis-Ferdinand Céline – esordisce nel 1991 con il saggio H.P. Lovecraft: Contro il mondo, contro la vita, e con le poesie della raccolta La ricerca della felicità (1992). La fase più dirompente della sua opera s’identifica con i primi due romanzi, i suoi più famosi e sicuramente più significativi, in cui è già interamente contenuta, senza grande possibilità di ulteriori sviluppi, l’intera poetica dell’autore: Estensione del dominio della lotta (1994) e Le particelle elementari (1998). Entrati nel novero dei best seller internazionali questi primi testi lo stabilizzeranno entro i ranghi degli autori di culto: seguiranno poi, con alterne fortune critiche, gli altri romanzi – Lanzarote (2000), Piattaforma al centro del mondo (2001), La possibilità di un’isola (2005), La carta e il territorio (2010), Sottomissione (2015), l’appena uscito Serotonina – e raccolte poetiche – Il senso della lotta (1996), Rinascita (1999), Configurazioni dell’ultima riva (2013). Considerando nell’insieme la sua carriera letteraria, è significativo notare come il riferimento a H. P. Lovecraft, primo autore a suscitare un interesse creativo in Houellebecq, ricorra sotterraneo ma costante come un tacito leitmotiv; un nesso non certo rappresentato dalla metafora soprannaturale e teratologica dell’horror o dal détournement escapista della narrativa fantastica, ma piuttosto dalla visionarietà speculativa degli scenari immaginati e dal radicalismo antiumanistico della critica alla società contemporanea (o più probabilmente alla società in generale, in nome di una tormentata e totale misantropia eletta a presupposto esistenziale e ontologico). Contro il mondo, contro la vita, è nozione da intendersi non solo come chiave di lettura della figura e dell’opera di Lovecraft, ma anche e soprattutto della figura e dell’opera di Houellebecq stesso.

La sua visione del mondo è “sofferenza dispiegata” – termine schopenaueriano (Schopenauer resta con Lovecraft un nucleo ispirativo predominante) coniato già nella lancinante opera prima del 1991, il poema in prosa Restare vivi: un metodo – un nodo di sofferenza” all’origine è l’unica possibile voce poetica (“Se non riuscite ad articolare la vostra sofferenza in una struttura ben definita, siete fottuti”); è il grido di dolore trasfigurato in massima asserzione di disprezzo contro il liberalismo politico (e sessuale) che, modellando il corso delle moderne democrazie capitalistiche occidentali, ha cancellato ogni residua reciprocità umana al di fuori dei termini del mercato e del contratto. Un passo pluricitato da Estensione del dominio della lotta, il suo primo romanzo, resta forse la sintesi più penetrante del suo pensiero: “In una situazione economica perfettamente liberale, c’è chi accumula fortune considerevoli; altri marciscono nella disoccupazione e nella miseria. In una situazione sessuale perfettamente liberale, c’è chi ha una vita erotica varia ed eccitante; altri sono ridotti alla masturbazione e alla solitudine. Il liberalismo economico è l’estensione del dominio della lotta, la sua estensione a tutte le età della vita e a tutte le classi della società. Altrettanto, il liberalismo sessuale è l’estensione del dominio della lotta, la sua estensione a tutte le età della vita e a tutte le classi della società. Taluni vincono su entrambi i fronti; altri perdono su entrambi i fronti. Le imprese si disputano alcuni giovani laureati; le femmine si disputano alcuni giovani maschi; i maschi si disputano alcune giovani femmine; lo scompiglio e la confusione sono considerevoli”. Da queste premesse segue l’impassibile contemplazione dello sfacelo dei rapporti umani, delle relazioni sociali, familiari e sessuali che domina le sue opere in prosa e in poesia (prediligendo in quest’ultime le “metriche antiche”, la versificazione classica dell’ottosillabo e dell’alessandrino). Più che un’implicita condanna emerge il rassegnato convincimento, l’amara consapevolezza che non esiste consolazione: “Non trascurate nulla di ciò che vi può procurare un briciolo di equilibrio. A ogni modo, la felicità non è per voi: ciò è deciso, e da un pezzo. Ma se potete afferrare un suo simulacro, fatelo. Senza esitare. A ogni modo, non durerà.”; “Se non frequentate donne (per timidezza, bruttezza o qualche altra ragione), leggete delle riviste femminili. Proverete sofferenze quasi equivalenti“; “Non abbiate paura della felicità; non esiste”; “Un grosso cane masticava il corpo di un piccione bianco. Più lontano, nel vicolo, una vecchia barbona tutta raggomitolata riceveva senza fiatare lo sputo dei bambini.”; “Mi rivolgo a tutti coloro che non sono mai stati amati, che non hanno mai saputo piacere; mi rivolgo agli assenti del sesso liberato, del piacere ordinario. Non temete nulla, amici, la vostra perdita è minima: l’amore non esiste da nessuna parte. E’ solo un gioco crudele di cui siete vittime; un gioco da specialisti”; “Fino al giorno della nostra morte, sarà così ?”; “La possibilità di vivere comincia nello sguardo dell’altro“.

E così via, di pugnalata in pugnalata: i frammenti precedenti sono ritagli scelti qua e là fra le sue poesie d’esordio. Nei romanzi questa consapevolezza è addirittura potenziata in scenari devastati che rimandano alla fantascienza per il ricorso ad aspetti scientifici, tecnologici e visionari (la clonazione per esempio in Piattaforma o la mutazione genetica del genere umano nel prossimo futuro in La possibilità di un’isola) e sono rappresentati in un registro di realismo depressivo – così lo ha definito il critico britannico Ben Jeffrey nel suo saggio Anti-Matter: Michel Houellebecq and Depressive Realism – dove le scene di sesso esplicito (in certe parti al limite della pornografia) hanno un ampio spazio.

La freddezza, la desolazione, la critica senza remissione verso il mondo contemporaneo occidentale – quello della democrazia rappresentativa, del post-sessantotto, del politicamente corretto – segnano le sue pagine, con un urticante sarcasmo, un humour noir che talvolta riecheggia (secondo alcuni anche ideologicamente) tipici aspetti di un altro autore d’elezione, Louis-Ferdinand Céline: nihilismo, consapevolezza dell’insussistenza dei destini umani, irrisione della società cosiddetta civile. Le cose accadono da sole, gli uomini appaiono e scompaiono, inutili, nella loro insaziabile mancanza di relazioni affettive, nel loro vuoto, nel loro gelo esistenziale: più oltre, al termine della notte, si profila lucidamente la prospettiva del post-umano. La frase con cui si conclude La carta e il territorio, per esempio, è degna, nel suo totale antiumanesimo, più che di Céline, di un Lovecraft introiettato, sottratto alla dimensione pulp e riattualizzato in altro contesto: “Il trionfo della vegetazione è totale”. L’ellittica componente fantascientifica e speculativa delle opere di Houellebecq, intese come narrativa d’anticipazione sociale, ha indotto i media a svendere proditoriamente l’autore come illuminato profeta (di sventura), sagace anticipatore in ogni suo libro di fatti a venire, come gli eccidi dell’ISIS per Sottomissione o la rivolta dei Gilet Jaunes per Serotonina, ammannendo fandonie su fandonie e misurando il valore dei testi sulla base delle predizioni azzeccate o meno (esattamente come quando i gazzettieri conteggiano per uno scrittore di science fiction quante invenzioni dei suoi romanzi si sono poi realizzate davvero). In realtà l’unica inderogabile teoresi dell’autore è quella che meglio esprima il disgusto verso il liberalismo e il liberismo occidentale capitalistico, il consumismo materialista ed edonista – insomma restiamo immancabilmente dalle parti dell’ “estensione del dominio della lotta“. Qualunque intervento volto a distruggere questo sistema è ben accetto e addirittura provvidenziale: è questo il caso dell’Islam in Sottomissione, per esempio. Un Islam moderato, tutt’altro che integralista che vince le elezioni in Francia e comincia a cambiare dall’interno un sistema condannato a morte dalla sua proterva inerzia: l’Islam è una forza nuova che propone dei valori, discutibili forse, ma comunque superiori al nihilismo senza prospettive in cui marcisce l’Occidente (il richiamo esplicito al nome di René Guénon, nel libro, è abbastanza significativo). Le donne finalmente vengono rimesse al loro posto, private del lavoro e riportate tra le mura domestiche, finalmente coperte e sottratte al libertinaggio generalizzato (la “sottomissione” che traduce, più o meno, la parola araba Islam, viene accostata a quella erotica della donna all’uomo nel romanzo Histoire d’O) e la sessualità maschile recupera definitivamente la sua predominanza concedendo anche ai brutti, agli sgradevoli, agli insignificanti (purché sufficientemente ricchi) il piacere di quattro mogli giovanissime. Sarà proprio l’esca economica (i miliardi investiti dagli emiri sauditi per islamizzare la Sorbona) e quella sessuale a indurre l’opportunistico protagonista – mediocre professore universitario specialista, non a caso, di Joris-Karl Huysmans, altro convertito, al cattolicesimo stavolta – a una decisamente interessata Shahādah finale. Per la prima volta già nel penultimo romanzo, Houellebecq ha sfiorato addirittura i registri dell’ironia swiftiana abbandonando gli abituali toni apocalittici e disperati; per la prima volta il suo ghigno sarcastico si è stemperato in qualcosa che ricorda quasi una risata. Condannato forse all’eterna ripetizione dei propri cliché ma tutt’altro che stanco, lo scrittore nel suo successivo e al momento ultimo lavoro, l’appena uscito Serotonina, prosegue il discorso sugli stessi toni ma da un’altra prospettiva. Non sarà più la religione, oppio dei popoli, questa volta, a rendere sopportabile, almeno temporaneamente, una vita invivibile, ma un oppio assai più letterale: un neurotrasmettitore – ossia una sostanza in grado di trasmettere informazioni fra le cellule del cervello – sintetizzato, prescritto da un medico e assunto in pillole: l’“ormone della felicità”, antidepressivo perfetto che, non a caso, inibisce del tutto ogni attività sessuale. Se la logica socialdarwinista dell’economia neoliberale ha distrutto la possibilità stessa dell’amore e della felicità, il protagonista, Florent-Claude Labrouste, quarantaseienne ingegnere agrario ex funzionario statale presso il Ministero dell’Agricoltura, cerca ancora di combattere la sua battaglia. Apparentemente cinico e misogino, in realtà sentimentale e romantico, chiude i ponti con la sua vita curricolare – casa, lavoro, relazioni – ricercando l’unico amico che abbia mai avuto e spiando a distanza l’unico amore che abbia davvero contato per lui, arriverà a progettare un omicidio (di un bambino, figlio dell’ unica donna amata, e futuro rivale in un’ipotetica e improbabile ricongiunzione dei due amanti) non essendo in realtà capace di sparare nemmeno su un uccello marino (“Il confronto durò qualche minuto, almeno tre, più probabilmente cinque o dieci, poi le mie mani cominciarono a tremare e capii che ero incapace di premere il grilletto, chiaramente non ero altro che un finocchio, un triste e insignificante finocchio, per giunta in là con gli anni”). Eppure questo perdente sarà ancora pronto a morire per amore come uno sgangherato Cristo suburbano, così come per amore morirà Aymeric, l’aristocratico amico normanno, a capo, come i suoi antenati guerrieri, della rivolta degli allevatori locali contro la soppressione delle quote latte per la liberalizzazione del mercato agroalimentare in osservanza ai diktat della Comunità Europea. Vita pubblica e vita privata dei personaggi, idealtipi sociali contemporanei, subiscono lo stesso strangolamento, patiscono la stessa insormontabile sconfitta: rivolta e serotonina non sono che palliativi idonei solo a procrastinare l’inevitabile accettazione incondizionata o il rifiuto radicale e definitivo: la morte. “È una piccola compressa bianca, ovale, divisibile. Non crea né trasforma; interpreta. Ciò che era definitivo, lo rende passeggero; ciò che era ineluttabile, lo rende contingente. Fornisce una nuova interpretazione della vita – meno ricca, più artificiale, e improntata a una certa rigidità. Non dà alcuna forma di felicità, e neppure di vero sollievo, la sua azione è di tipo diverso: trasformando la vita in una serie di formalità, permette di raggirare. Pertanto aiuta gli uomini a vivere,o almeno a non morire – per qualche tempo”. Il romanzo è stato come sempre stroncato da molti, esaltato da alcuni, ma – e il fatto sarà pure sintomo di qualcosa – Houellebecq, ancora una volta, è riuscito a porre un evento periferico e circostanziale come quello letterario di nuovo al centro dell’attenzione pubblica. L’impresa non è da tutti. Per chi lo ama e per chi lo odia Houellebecq resta sempre e comunque catartico, in senso estetico per gli uni, farmacologico per gli altri: l’anedonia dei suoi personaggi (e a giudicare dalle foto più recenti che lo ritraggono sdentato, livido, scarmigliato, tabagista compulsivo, sempre più simile all’Artaud post-elettroshock, dell’autore stesso) è il male inestinguibile e inconfessabile che ci consuma e che noi stessi consumiamo nei paraggi del vuoto. Questa piena, totale aderenza alla vita presente trasfigura comunque, nei suoi risultati più alti come in quelli meno compiuti, l’istrionico poseur, così tragicamente convincente, in un autore importante, forse un autore necessario.

A chi voglia discostarsi dalla usuale conoscenza dei romanzi per avvicinare Houellebecq su un territorio più intimo e probabilmente più autentico, consigliamo la lettura integrale delle sue poesie pubblicate in due volumi da Bompiani nel 2016 sotto il titolo di La vita è rara: Tutte le poesie, e la visione del film Restare vivi: Un metodo, documentario realizzato nel 2016 dai registi olandesi Erik Lieshout, Arno Hagers e Reiner van Brummelen, in cui l’attempata icona rock Iggy Pop legge il testo omonimo ed eponimo del 1991 per incontrare poi a Parigi lo scrittore in persona, nella cucina della vecchia casa dei defunti genitori di questo e in compagnia di un fragile e tenero gruppo di persone in cura per problemi psichiatrici. Un crepuscolare dialogo sul dolore in cui Iggy e Michel si confrontano,onesti e nudi come solo due sopravvissuti sanno essere.

 

J’ai connu bien des aventures
Des preservatifs usagés
J’ai meme visité la nature,
Et je l’ai trouvé mal rangée.

J’ai traversé le Pentothal,
J’ai bu des Tequila Sunrise
Ma vie est un échec total,
I know the moonlight paradise.

(Mémoires d’une bite)