50 anni dopo: riorientare il pensiero con L’anti-Edipo

La crisi del capitalismo nella sua forma contemporanea e la sua critica immanente, l'economia politica come regime accelerato di flussi di desiderio e denaro, la netta polarizzazione del campo sociale tra schizofrenia e paranoia e il confine tra il desiderio di rivoluzione e i suoi oscuri riflussi di desiderio di fascismo trovano ancora nella lettura de L'anti-Edipo. Capitalismo e schizofrenia - uscito nel 1972 - una via per riorientare e guidare il pensiero.

Ci sono momenti storici in cui la filosofia produce un volume straordinario di opere, autori e concetti. È successo in Italia durante il Rinascimento, in Germania durante il Romanticismo e in Francia negli anni Sessanta. Gli anni Sessanta furono il decennio della rivoluzione sessuale, del boom demografico del secondo dopoguerra, della globalizzazione della cultura pop attraverso il rock’n roll, così come della massificazione della pillola contraccettiva, della televisione, del bikini. Mentre all’ombra del rischio di una catastrofe nucleare, durante la Guerra Fredda, in Asia e in Africa crollavano gli imperi neocoloniali europei. Più di 30 Paesi sono emersi dalle lotte di liberazione nazionale, fra cui l’Algeria, diventata indipendente dalla Francia dopo otto anni di guerra. Quello fu il decennio degli atti di disobbedienza civile che crebbero e si organizzarono nel movimento per i diritti dei neri negli Stati Uniti. Gli anni Sessanta videro la formazione del Black Panthers Party, l’attivismo contro le istituzioni totali e la seconda ondata del femminismo. Un periodo di profondi cambiamenti nei comportamenti, nei gesti e nei linguaggi che ebbero un effetto duraturo sui modi di vestire, comportarsi e relazionarsi; cambiamenti accelerati dall’impeto dirompente della controcultura: la sperimentazione di sostanze psicoattive, il movimento hippie e le sperimentazioni artistiche che miravano ad abolire i confini tra arte e vita.

Negli anni Sessanta, anche la Quinta Repubblica francese stava vivendo un periodo di crescita economica e stabilità politica, i cosiddetti Trent’anni Gloriosi (1945-1975). Era l’era “d’oro” ed efficace del modello di inclusione attraverso la socializzazione dei costi sanitari, educativi e assistenziali, previsti dallo Stato. Il modello applicato in Francia stabiliva un asse di inclusione che ruotava attorno al nucleo familiare, alla cittadinanza nazionale e al lavoro sicuro. Ha inoltre stabilito un modo specifico di organizzare le istituzioni e le pratiche della vita pubblica. Sotto la superficie delle notizie patriottiche e degli indicatori socioeconomici, tuttavia, fratture, pressioni e tremori si allargavano, si riverberavano tra loro e si diffondevano. Non tutto andava a meraviglia come pretendevano i discorsi dei governi dell’epoca e come continua a pensare la nostalgia che parte della storiografia ancora nutre per quel periodo dell’Europa occidentale del dopoguerra.

La primavera globale di lotte intorno all’anno 1968 combinava a) l’indignazione di una frazione della popolazione inserita negli ingranaggi, ma insoddisfatta e ribelle alla vita disciplinata e istituzionalizzata dalle strutture dell’epoca; b) le lotte dei lavoratori dell’industria che, oltre ai “diritti economici” legati ai salari e alle condizioni di lavoro, scoprivano desideri di autonomia e di autogoverno; e c) la rabbiosa soggettivazione delle minoranze emarginate ed escluse, all’interno o all’esterno delle economie centrali del mondo industrializzato. Queste tre ampie linee o frange superavano la capacità di controllo delle organizzazioni rappresentative, mettendo a freno anche entità con un’aura apparentemente inscalfibile, come il partito comunista, il sindacato e una certa cultura della critica sociale venata di positivismo sociologico. Non era un flusso turbolento anarchico, ma un ecosistema di vortici. In quel “momento di attimi”, la cultura intellettualizzata di Parigi, ben dotata degli strumenti dell’accademia e delle lettere, entra in un circuito virtuoso con l’ecosistema delle lotte. C’erano catture reciproche di codici, autonomie, energie desideranti, frammenti di esperienze e frammenti di linguaggio in un bricolage generalizzato.

Già prima del 1968, all’epoca della pubblicazione degli Scritti (1966) di Jacques Lacan, il campo psicoanalitico in Francia stava vivendo un periodo di effervescenza che non si sarebbe più ripetuto nel Paese. Guattari lavorava allora in cliniche alternative  sulla cresta dell’onda delle tecniche sperimentali, all’incrocio di linee di rinnovamento pratico, come la psicoterapia di François Tosquelles e l’antipsichiatria di Ronald Laing, ed era lui stesso un attivista del movimento. Nel campo della filosofia, gli anni Sessanta in Francia hanno visto l’apoteosi dello strutturalismo, che ha influenzato il modo in cui sono state pensate e applicate le scienze umane e sociali. Deleuze, a sua volta, si è inserito con successo in questa costellazione filosofica di produttività superlativa, i cui punti di riferimento sono stati la pubblicazione de Il pensiero selvaggio (1962) di Claude Lévi-Strauss, Le parole e le cose (1966) di Michel Foucault e Grammatologia (1967) di Jacques Derrida.

Nel 1968 tutto questo fu inghiottito in vortici successivi, secondo una cartografia dinamica di composizioni e scomposizioni, che aveva a Parigi uno dei principali centri del mondo. La filosofia mantiene sempre una sorta di connessione con il suo esterno, con il non filosofico. Nel caso, queste connessioni si restringono al loro minimo circuito, che aumenta la tensione della connessione senza, quindi, provocare una zona indifferenziata in cui i concetti si dissolvono in gergo e slogan. Da un lato i graffiti per le strade sono diventati stranamente “filosofici” e sono diventati uno stimolo di riflessione. Dall’altra parte, la filosofia si è popolata, dall’interno, in un’esplosione demografica di caratteri concettuali e piccole macchine teoriche.

Pubblicato nel 1972, il titolo del primo libro di Deleuze e Guattari si riferisce a Edipo, eroe della mitologia greca che, a cavallo del Novecento, fu scelto dalla psicoanalisi freudiana come protagonista del celebre complesso che porta il suo nome. Per quanto riguarda il sottotitolo, occorre prestare attenzione alla congiunzione e: non si tratta di capitalismo contro schizofrenia. Come la maggior parte delle coppie concettuali presenti in L’anti-Edipo, il binomio del sottotitolo non assume la forma di opposizione o esclusione. Scritto da un filosofo e da uno psicoanalista, il libro non permette di inquadrare facilmente ambiti disciplinari specifici. Può essere letto come un testo di filosofia; può servire come testimonianza storica di un momento della filosofia francese contemporanea o fungere da critica originale alla psicoanalisi di Freud e Lacan, sia pure in nome del suo superamento. Se il lettore preferisce, può goderselo come un’opera di finzione sul viaggio arrogante di Edipo fino al punto dell’autocritica e del suo frantumarsi nel deserto, come un’opera produttiva inconscia.

L’anti-Edipo mobilita molti diversi tipi di conoscenze e opere, sempre secondo strategie compositive trasversali: psicoanalisi, psichiatria, critica dell’economia politica, storia della filosofia, sociologia, storia dell’arte e antropologia, tra molti altri campi. È un libro sperimentale che propone esso stesso una filosofia sperimentale e introduce le linee guida di una nuova pratica, la schizoanalisi. Il processo di scrittura del testo e il concatenamento dei suoi argomenti non sono lineari, non procedono per generalizzazioni, né traspare un messaggio centrale. Si può entrare in L’anti-Edipo praticamente attraverso qualsiasi capitolo e lasciarlo attraverso qualsiasi altro. Come nella biblioteca di Jorge Luis Borges, i cui diversi spazi sono collegati in molti modi, i percorsi possibili sono innumerevoli. La scrittura del libro opera attraverso più livelli, con più livelli che si sovrappongono, come un dipinto cubista, tracciato da fai-da-te e frammenti autonomi. Questo porta a esigenze di lettura non usuali nei libri di filosofia e fanno de L’anti-Edipo un’esperienza unica, anche all’interno del corpus di ciascuno degli autori. Il lettore non dovrebbe preoccuparsi tanto di capire tutto alla prima lettura. Né alla quarta né alla quinta…

Se si vuole approfondire la macchina concettuale de L’anti-Edipo, vale la pena ammettere un parziale malinteso, fino a quando i passaggi e i concetti iniziano a interagire tra loro, scambiando logiche e provvisorie catene di significato. Così, attraverso ipotesi di lettura a tentoni e precarie, è possibile avanzare nella comprensione. È come una nuova musica che richiede nuove orecchie: queste non precedono quella; musica e orecchie si formano invece insieme, in una zona di indistinguibilità tra contenuto e ricezione. La stessa lettura de L’anti-Edipo va intesa come un atto di apertura e di sperimentazione, altrimenti il lettore corre il rischio di non superare le prime pagine.

I due autori de L’anti-Edipo sono francesi e quasi coetanei: Gilles Deleuze (1925-1995) e Félix Guattari (1930-1992). Entrambi condividevano la passione per la filosofia e la psicoanalisi, sebbene uno fosse professore di filosofia di professione e l’altro psicoanalista di formazione. L’incontro tra loro è stato immensamente produttivo, generando un rapporto di parità in termini di creazione e rigore. Quando scrisse il libro, Deleuze era già una figura ben nota nell’effervescente ambiente intellettuale francese. Alla fine degli anni Sessanta aveva già scritto i principali libri monografici della sua traiettoria autoriale: ritratti filosofici di pensatori classici come Spinoza, Kant, Hume, Nietzsche e Bergson. Tutti questi filosofi riappaiono, rielaborati e trasformati, lungo tutto L’anti-Edipo. Guattari, a sua volta, ha lavorato in una clinica psichiatrica alternativa situata nella Valle della Loira, un istituto di salute mentale famoso per i suoi metodi innovativi. Inoltre, era un militante legato a movimenti autonomi e apartitici, e fu intensamente coinvolto in collettivi e piccoli gruppi di organizzazione politica. Il suo testo Macchina e struttura, del 1969, aveva incantato Deleuze.

Alla fine degli anni Sessanta, l’ambiente intellettuale francese era dominato dalla scuola strutturalista. Il concetto guattariano della macchina è stato un ponte decisivo per Deleuze, in quanto gli ha permesso di entrare in quello che sarebbe diventato noto come “poststrutturalismo”. L’anti-Edipo si situa proprio su questo cardine, quando lo strutturalismo varca lo specchio e viene portato sulla soglia della vertigine, diventando qualcosa di diverso e nuovo. In questo senso, l’estetica balbettante, quasi balbettante de L’anti-Edipo testimonia questo sforzo di far nascere un nuovo pensiero dall’interno di un vecchio pensiero che non poteva più spiegare le trasformazioni che la soggettività stava subendo. Una volta pubblicato, il libro suscitò scalpore in tutte le sfere della vita culturale a Parigi. Fu uno spartiacque di editoriali e recensioni polarizzate, che portò gli autori a difendere costantemente il libro, riprenderne i temi, ampliando la portata delle sue affermazioni e condizionando il futuro lavoro congiunto. Dopo L’anti-Edipo, parallelamente al loro lavoro individuale, Deleuze e Guattari hanno scritto insieme altri tre libri: Kafka: per una letteratura minore (1975), Mille piani (1980) e Cos’è la filosofia? (1991).

La scrittura, la pubblicazione e la ricezione de L’anti-Edipo sono inseparabili da quanto accadeva in Francia e nel mondo a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta. In una certa misura, il rapporto con l’esteriorità vale per qualsiasi libro e importante opera artistica, ma L’anti-Edipo è particolarmente permeabile alle circostanze del suo tempo in termini di temi affrontati, gusto per la sperimentazione e tono rabbioso delle critiche che trasmette. Oltre al rapporto esterno, cronologico, con il tempo, il libro stabilisce un legame interno, in intensità, con esso. In particolare, L’anti-Edipo è legato all’evento del maggio 1968, che condensa nella capitale francese il ciclo globale di trasformazioni eterogenee e lotte avvenute in molteplici spazi e tempi.

L’inconscio non è mai individuale. Non è che ognuno abbia un inconscio privato, un inconscio suo, dove ci sarebbero i piccoli segreti, fantasie e pulsioni. Non c’è un’area del cervello in cui l’inconscio ruota come un microprocessore o un’app specifica. Se sbattiamo la testa e sveniamo o quando dormiamo, è possibile spegnere la consapevolezza, e anche interrompere i processi preconsci, ma l’inconscio non si ferma mai, non può essere disattivato. Anche la morte individuale non produce conseguenze sull’inconscio, per il quale il tempo cronologico non ha alcun senso.

Per gli autori de L’anti-Edipo, la scoperta dell’inconscio è stata cruciale perché ha scosso un sistema di riferimento guidato dalla vita individuale consapevole, incentrato sul presente qui e ora, nell’istante in cui ce ne accorgiamo e agiamo. La scoperta dell’inconscio da parte di Freud rappresenta, dopo Copernico e Darwin, la terza ferita all’orgoglio antropocentrico. Copernico ha decentrato il pianeta rispetto all’universo, e noi siamo diventati come un altro corpo celeste in un sistema che ci sovrasta in un modo difficile da concepire. Darwin ha decentrato l’essere umano rispetto al quadro dell’evoluzione delle specie, quando siamo diventati solo una variante dello stesso processo vitale che si ramifica in miliardi di altri. Freud ha a sua volta decentrato dalla coscienza la vita mentale ed emotiva dell’essere umano. Semmai, la coscienza è una piccola area illuminata, circondata da chiari scuri ovunque (aree preconscio) e da oscurità totale. Questa piccola area illuminata perde così la sua preminenza per diventare solo una delle varie regioni dei processi mentali.

Si può convincere la ragione con argomentazioni, ma il desiderio non obbedisce ai sillogismi della logica né fa autocritica. La ragione comanda la volontà, ma non il desiderio. Questo non può essere dissuaso o ingannato dalla forza persuasiva della ragione. L’interesse e la necessità possono essere ingannati, il desiderio no. Puoi convincere una persona che stai agendo a scapito del tuo interesse oggettivo, ma ciò non significa che sarai smosso dal tuo desiderio di continuare a comportarti allo stesso modo. La persona ha compreso perfettamente eppure continua a desiderare ciò che va contro il proprio interesse, forse proprio perché è contro il suo stesso interesse.

Il fatto è che non è possibile semplicemente decidere di desiderare in un altro modo. Puoi conoscere con precisione il tuo interesse e le tue necessità, ma non cambia il fatto del desiderio, che non per questo è irrazionale, ma semplicemente segue una razionalità altra e più decisiva.

Questo prepara il terreno per una domanda intrigante: è possibile che, senza alcun processo di propaganda o ideologia di massa, il desiderio sia portato a desiderare la repressione sociale? È possibile desiderare anche il fascismo?

La lettura de L’anti-Edipo oggi richiede un rapporto più sfumato e complesso tra gli echi del maggio ’68 che sembravano risuonare nel ciclo globale di lotte dell’inizio del secolo e delle primavere arabe segnate da un tumulto generalizzato, flussi e riflussi, disorganizzazioni e riorganizzazioni, schizofrenia di senso inquietante e sovraccarichi paranoici del presente. Occorre ripercorrere questi percorsi a zigzag, intrecciare i fili sciolti, ricollegare punti intensivi, anche se separati nel tempo e nello spazio. Solo così i problemi politici e analitici del tempo in cui L’anti-Edipo è stato scritto possono essere riattualizzati, perché diventino anche nostri: la crisi del capitalismo nella sua forma contemporanea e la sua critica immanente, l’economia politica come regime accelerato di flussi di desiderio e denaro, la netta polarizzazione del campo sociale tra schizofrenia e paranoia, e il confine tra il desiderio di rivoluzione e i suoi oscuri riflussi di desiderio di fascismo.