La magia del cinema è il rinnovamento, è la continua riscoperta delle sue origini. Il cinema di spionaggio oggi si fonde con quello puramente d’azione; non tralascia di guardare alla cronaca […], il noir trova sfogo anche nell’azione, il glamour nasconde sempre una faccia più oscura. L’esotismo stesso, elemento cardine di tante immaginifiche avventure, ha un po’ smorzato i colori. Senza rinunciare a nulla, ci ricorda che il mondo, là fuori, può essere bello ma anche pericoloso.
Tra le guide presentate da Odoya non poteva mancare un volume dedicato al cinema di spionaggio: l’autore, Stefano Di Marino, è noto per la sua carriera quasi trentennale nella spy story come scrittore, traduttore e saggista e per la stessa casa editrice ha già pubblicato, con Michele Tetro, Guida al cinema western (2016) e Guida al cinema bellico (2017).
In questo volume si affronta il cinema di spionaggio da un punto di vista cronologico, dalle pellicole del primo Novecento ai film dedicati alla guerra fredda tra USA e URSS del secondo dopoguerra, per poi continuare con le produzioni più moderne, il cinema asiatico e le «spie del nuovo millennio». Tuttavia, un approccio esclusivamente temporale sarebbe stato troppo limitativo: Di Marino propone quindi approfondimenti tematici, dando particolare rilievo, per esempio, ai film che hanno segnato un punto di svolta per il cinema di spionaggio (come la saga di James Bond e il cinema «post undici settembre») e all’opera di John Le Carré, il «narratore della Guerra Fredda».
Nel testo, accompagnato da una ricca iconografia, sono suggerite varie pubblicazioni alle quali fare riferimento: purtroppo non tutte sono riportate nella sezione apposita e la bibliografia risulta essere molto ridotta, punto debole comune ad altri volumi della collana. Eppure, il lungo elenco dei film citati che conclude Guida al cinema di spionaggio è prova di come una narrazione accattivante – dalla quale traspare tutta la passione dell’autore – possa essere tanto piacevole quanto esaustiva. Di particolare interesse è il primo capitolo, «I ferri del mestiere», nel quale Di Marino analizza i canoni della spy story: l’eroe elegante e spietato o, al contrario, l’«uomo comune» coinvolto suo malgrado, le donne forti, disinibite e determinate, l’antagonista, dal memorabile mad doctor al capo di una spietata multinazionale.
In una carrellata di immagini e storie, l’autore tratteggia il continuo rinnovarsi di un genere che più volte è stato considerato obsoleto e che invece ha saputo evolversi: attraverso il confronto con la cronaca e la riscoperta delle proprie radici nella letteratura, in particolare nel giallo e nel noir, il cinema di spionaggio dimostra quanto la cultura sia interattiva e dinamica. Tutto questo, spiega Di Marino, è avvenuto senza dimenticare il pubblico, che – giustamente – vuole essere (anche) divertito: se ad alcuni possono far storcere il naso le coreografie al limite dell’assurdo, le animazioni in CGI, le esplosioni e l’uso dello slow motion che caratterizzano (e per certi versi affliggono) i film moderni, è necessario sottolineare come l’interesse di una parte di pubblico più attratta dagli effetti speciali che da trame elaborate abbia permesso di arricchire di scene d’azione anche la spy story classica. Questo, conclude l’autore, «è un segno dei tempi, né positivo né negativo»: come sempre, la produzione cinematografica porta a film belli, brutti, mediocri, interessanti o noiosi, ed è compito dello spettatore affinare il proprio spirito critico, approfondire e imparare, anche grazie a libri come questo.