Uduvicio Atanagi, Lucenti, ill. Akab, Eris, pp. 208, euro 13,00 stampa
Il romanzo breve Lucenti è stata una delle mie scoperte più interessanti degli ultimi mesi: un concentrato di energie creative che offre spunti critici a non finire. Va detto subito, a scanso di equivoci, che non è un prodotto di facile lettura: ma niente in Atanagi è vacua sperimentazione fine a se stessa. Ciò che rende complessa l’opera, e l’ostacolo maggiore per il lettore contemporaneo, è la materia stessa di cui si compone il romanzo.
La trama è molto semplice: il passaggio dall’infanzia all’età adulta di un giovane in un piccolo paese della provincia italiana, tema kinghiano molto caro agli scrittori nostrani, Niccolò Ammaniti in primis. La vera novità è l’atmosfera mitopoietica nella quale la vicenda viene inserita. Con un espediente che ricorda Cent’anni di solitudine di Gabriel García Márquez, l’autore crea una vera e propria leggenda sulla famiglia dei Lucenti. Attraverso la prospettiva di tre componenti della famiglia, che presto assurgono a esseri quasi mitici e con racconti narrati in diversi periodi storici, percepiamo l’esistenza di fenomeni che vanno ben oltre la normale comprensione umana. Tenere assieme in una manciata di pagine due livelli narrativi così distanti, quello dei protagonisti e quello della storia di una famiglia nel corso dei secoli, è una sfida che Atanagi supera con la naturalezza di una scrittura fibrillante e precisa.
Tra le righe si fa riferimento a un substrato fantastico che non è mai messo veramente in scena. I riferimenti a H.P. Lovecraft sono accennati in modo molto sfumato, di non facile apprezzamento per lettori svogliati e superficiali. L’atmosfera decadente e oscura che permea la narrazione è come una nebbia che s’infiltra, che avvolge lentamente in spirali sempre più strette.
Molte di queste nuance sono date dal senso di matericità che la scrittura di Atanagi possiede. Era dai tempi della scoperta di Eraldo Baldini che non trovavo qualcuno capace di farci assaporare la crudezza, la violenza e la brutalità della natura in maniera così vivida e potente. Il sangue, in particolare, è il leit motiv di tutto il libro. E la stessa terra che crea i miti, le leggende, che prosciuga la vita dei suoi abitanti. Un horror, a suo modo, molto atipico.
Pochi in Italia sono gli scrittori viventi in grado di conferire alla scrittura una forza espressiva che vada al di là di pochi trucchi retorici. Atanagi ricorda José Saramago e la sua scrittura orale, quella continua altalenante ripetizione a catena di parole, concetti, metafore: uno stile difficilissimo da dominare, anche solo da imitare. Il nostro lo usa con una padronanza tale da far quasi dubitare della sua italianità.
Un grazie va senz’altro alla Eris, casa editrice molto agguerrita, e, al suo interno, al Progetto Stigma, composto di scrittori e fumettisti molto originali e innovativi. Uno di essi, Akab, è il disegnatore delle impagabili immagini sparse nel libro: uno stile, il suo, a propria volta estraneo alle tipiche linee italiane e che ricorda il maestro del fumetto britannico Dave McKean.