Per un libro così ci vorrebbe un grande trattamento, per esprimersi come fece Arbasino a proposito del Meridiano di La Capria. Gli amanti della Letteratura, degli scrittori e degli artisti che vivevano nella prima metà del Novecento, troveranno dentro il romanzo di Lambiase tutto quel che serve a autorizzarsi nipoti di un’epoca irripetibile. Romanzo? Molto di più. Operazione nostalgia? Tutt’altro. Probabilmente la quintessenza di stili e architetture mentali, oggi senza pari, con grande ricchezza documentaria di lettere e documenti rintracciati in archivi personali e familiari.
L’opera di Lambiase ha qualcosa di miracoloso, e non soltanto perché riporta in luce (e che luce! Capri e il Golfo di Napoli) una delle bellezze più sfolgoranti di quell’epoca, la biondo-fulva Adriana (Capocci Belmonte) amata, ammirata, corteggiata da (fra i tanti) Anna Maria Ortese, Enrico Prampolini, Paolo Monelli, Alberto Moravia. Impossibile riassumere una vita come la sua, se non leggendo Adriana cuore di luce, così definita dalla Ortese nel Porto di Toledo, dove Adriana è protagonista (col nome Aurora) insieme al grande e controverso amore Aldo Romano, il “Cesare” confidente dell’OVRA (ma a quei tempi i cosiddetti informatori erano ovunque, a Cinecittà come nei mercatini di periferia) e oscuro personaggio in bilico tra fascismo e antifascismo.
Fanciulla longilinea, lunghi capelli ricci, figlia di aristocratici, sofisticata, e giovane vittima della tubercolosi, la micidiale “peste bianca”. Muore nel 1944, a ventisei anni, nella Napoli torrida di Malaparte, dopo aver attraversato l’amicizia e le passioni di uomini e donne soggioganti e gli sfarfallii di anni infuocati. Eccitazioni, martirii e guerra non mancarono mai intorno a quell’isola che con la sua silhouette attirò a sé ogni sorta di cervello malato di arte, di scrittura e di giovinette dalla pelle rosata.
Capri maliarda, patria di geni e dissoluti, di sindaci beatificati e surrealisti indemoniati, di russi più o meno rivoluzionari e fanciulle in fiore degnissime d’essere immortalate da pittori visionari. E proprio dal grande ritratto («destinato a fare epoca»), dedicato da Prampolini a Adriana, prende l’avvio il libro di Lambiase. Vasto e sfolgorante, questo Spazialità solare o Adriana a Capri, dove la ragazza, braccia sollevate al cielo e gambe divaricate, sospesa in bilico sulle rocce di Marina Piccola, domina chiunque vi si trovi davanti. L’autore elenca memorie con rara attenzione, brani di lettere occupano gran parte dello spazio, le relazioni s’incrociano in schemi niente affatto consolidati. Nelle pagine s’incontrano Franco Lattes (Fortini), Soumy Tagore (nipote del premio nobel, antimperialista), D. H. Lawrence, Rosselli, Croce, Palma Bucarelli, Moravia. Anna Maria Ortese tiene la scena nei romanzi e nei quotidiani incontri con l’amica adorata, si percepiscono gelosie e giochi seduttivi ai quali l’affascinante Adriana non si sottrae, affamata di vita (e di letteratura, di letture e corrispondenze) pur nella malinconia congenita che l’avviluppa.
Ma basta guardare attentamente le foto presenti nel volume per sentirsi catturati da un vortice di solida magia giunta da tempi lontani, da luoghi del mito che non si vorrebbero estinti. Si comprende come gli amori, febbrili, sotto quei cieli volteggiassero intorno a spiriti capaci di tutto nei loro privilegi e nelle inevitabili cadute. Ogni cosa del mondo scuotesse anime e corpi era volta in romanzi, opere d’arte, e situazioni tra il familiare e il mondano. Adriana a Capri, ci dicono, continua magicamente a sedurre in una stanza romana colma di luce. E Adriana ora riconquista il posto che merita nella nostra memoria. In primo piano, alta, la treccia dorata a lambire sia Napoli sia La montagna incantata dei sanatori, solarità mai del tutto perduta nelle tenebre annunciate.