Destino di un autore, attento alle elaborazioni forestiere, direttore della mitologica Biblioteca Blu di Franco M. Ricci (anni ’70, collana dove apparvero, fra gli altri, opere indimenticabili come Parodia di Ruggero Guarini, Le specie del sonno di Ginevra Bompiani, A. dello stesso Mariotti), scrivere un romanzo di oltre 200 pagine privo di punteggiatura. Tranne il punto fermo che sigla l’ultima parola al termine del libro: “folla”. Giovanni Mariotti, i cui articoli sui giornali ci trasformavano in immancabili sodali e si allestivano imprese per ricercare i suoi libri imprevedibili, perfino poesie mai proliferate nel mucchio delle porcherie sui banchi editoriali. Ma suggerimenti e provocazioni, in quell’epoca, caricavano di vivacissime idee e contagi intellettuali, anche se il più delle volte i risultati non rappresentavano nemmeno l’ombra di quel che altrove era la summa di geni incomparabili.
Oggi la riedizione di Storia di Matilde, dopo 25 anni, supera d’un colpo la presunzione di alcuni d’essere portatori di un nuovo, che invece langue e non trova autorizzazioni a elogi e diffusioni. Gli anni sono questi, l’aria si fa tesa, le peripezie editoriali vanno cercate altrove, l’alta qualità e il beautiful people li troviamo nelle folte (per fortuna) pagine di Arbasino, di Longhi e Manganelli e nelle vecchie collane finite su eBay e che costano una fortuna. E anche Inge Feltrinelli, ahimè, è morta.
Il romanzo di Mariotti ha bisogno di polmoni ampi e di occhi tenaci, la dovuta attenzione pretende comfort e luci diffuse, Citati avverte che occorre un “piccolo sforzo” per adeguarsi al ritmo ininterrotto, e tenere il passo di vicende e intrecci non certo privi di richiami e complicazioni, e di vertiginosi salti del tempo. C’è un grande ordine romantico dentro a Storia di Matilde, mille rivoli di destini e dolcezze presentite e forse vissute dalla cara fanciulla. Se ci fosse Proust di mezzo, capiremmo il da farsi, Mariotti però tiene ben stretti in pugno i nodi del proprio scrivere e della propria invenzione, perfino James troverebbe pane per i suoi denti nel bel mezzo del romanzo.
Malinconie, solitudini? Pieghe magistralmente svolte e riavvolte dalla scrittura? Certamente questo libro è una dimora fatta di mezzanini e stanze dentro stanze, abbaini e soffitte, anche camere da letto soffici dove infondersi un po’ d’allegria. La gestione dei garbugli esige mosse e contromosse, da parte dell’autore, giù giù fino a quel che il lettore vede davanti ai suoi occhi e intravede lontano nella bruma del mattino. Si può esser felici nell’assistere allo sgattaiolare di un micio dallo schermo del computer, almeno quanto può esserlo stato Mariotti nello scriverne nuance e malizie.
Le storie, avvertiamo, qui dentro sono miriadi, e ognuna di esse avrà il suo tenero e affezionato fan.