Non è nuova la lingua, in quest’ultimo libro di Fabio Pusterla: nuovo è il territorio che attraversa e nuovi i protagonisti della narrazione poetica, le voci che prendono la parola. Non più gli umani ma la natura – acqua, aria, terra, fuoco – che governa un paesaggio abbandonato o deturpato, spesso ostile. Le persone sono disseminate ai margini o sullo sfondo, testimoni muti o in procinto di sottrarsi alla scena: «Come se tu non ci fossi. O fossi già/ tu, andato via». Comparse, in una natura che trascorre indifferente, ben oltre lo stesso linguaggio, e alla quale il poeta si appella quando non è lei a prendere la parola interpellando chi scrive e certo anche chi legge: «Hai paura, lo so. Ti consoli pensando / di avere paura di me / che minaccio le rive. Ma è te / che tu temi, lo sai. E da te stai fuggendo».
In «Paziente zero», una poesia che più delle altre contiene una dichiarazione di poetica, Pusterla sembra addirittura annunciare la propria resa rispetto a una parola che ormai lo parla, come fosse fiume o vento: «Pulsa dentro di me una natura misteriosa / biologico labirinto senza uscita […] Sei parlato, non c’è nessuno, ubbidisci. / Senza capire stai, nel linguaggio/ che trascina e sfinisce».
Ma naturalmente non è così o non solo. Il testo qui è più che mai in dialogo con la letteratura, dai classici ai contemporanei, maestri o interlocutori di sempre dichiarati nelle fin troppo minuziose note che chiudono e, mi pare, depotenziano questo libro bello e straripante.
Perché non lasciare «alla poesia il suo buio» come scrive Celan, perché non permettere al lettore di trovarvi i suoi fiumi, le sue associazioni? Quanti personaggi letterari evoca la meravigliosa figura del Custode delle acque con le sue «annotazioni» in forma di poesie, nell’infinito gioco delle citazioni? «Non ti basta, lo so. Vorresti altro. / Non ti basta fiume il mio ascolto, / né ora per te è il momento di ascoltare perché corri infuocato / spinto dalla violenza delle gole.»
Pusterla ha scritto, questa volta, un libro-mondo un viaggio nelle viscere nostro tempo. Un consiglio: non leggete le note.