La stretta di mano, la forma di saluto più diffusa in Occidente, ci deriva dai legionari romani che avevano combattuto vittoriosamente nell’attuale Turchia meridionale nel I secolo d.C., divenendo seguaci del culto di Mitra: il gesto si diffuse con il mitraismo prima che questo venisse spodestato dal cristianesimo come religione predominante nell’Impero, ma gli sopravvisse. A loro volta gli adepti di Mitra avevano ripreso il rito dai ben più antichi Yazidi, detti volgarmente «Adoratori del diavolo» perché credono in Taus Malek, l’angelo ribelle che, per essersi pentito della ribellione, è stato liberato dall’inferno da Dio per affidargli il governo del mondo. Un rituale che gli Yazidi chiamavano ‘Fratellanza nell’aldilà’ e celebravano stringendo fra le mani la terra inumidita della loro città sacra di Lalish, nell’Iraq settentrionale.
Furono invece gli Zoroastriani della Persia a introdurre la morale nella religione, considerata come partecipazione al dramma cosmico di lotta fra Ahura Mazda e Angra Mainyu, eterni principi rispettivamente della luce e delle tenebre: il Paradiso e l’Inferno che attendono i seguaci dell’uno e dell’altro divennero prospettive ultramondane accettate universalmente, mentre ab antiquo nell’Ade omerico o nello Sheol del Pentateuco, il destino delle ombre non veniva differenziato: così Nietzsche farà tornare Zarathustra ad abolire la legge morale che aveva creato, e Richard Strauss farà rivivere per sempre nelle sale da concerto di tutto il mondo un profeta perduto.
Non dimentichiamo poi i Mandei asserragliati da sempre nelle paludi dell’Iraq: praticavano il battesimo nel fiume Tigri, molto prima di Giovanni Battista, che considerano un profeta più grande di Gesù; a loro s’ispirò Mani – che però non condivideva questa predilezione – fondatore del manicheismo, altra religione che rischiò di conquistare l’Impero romano. I riti e gli incantesimi mandei, il culto delle stelle e dei pianeti visti come esseri soprannaturali e semidivini, i numeri sacri sette e dodici, gli oroscopi, la lingua – l’aramaico – la simbologia animale dei loro amuleti, derivano direttamente da Uruk e da Babilonia e, lungo gli abissi del tempo, giungono fino a noi.
Che dire poi dei Drusi del Libano e della Siria, eredi della tradizione segreta dei successori di Pitagora, divenuti ormai monoteisti che credono dall’unico Dio siano emanati cinque esseri celesti, la Mente universale, l’Anima universale, il Verbo, il Precedente e il Seguente, che si sono manifestati in forma umana in Mosè e Aronne, Gesù e i suoi apostoli, Platone, Aristotele e Pitagora, e poi Maometto e i suoi compagni; o dei Samaritani della Palestina, rivali e nemici degli ebrei, da loro definiti giudei seguaci di Davide, mentre definiscono sé stessi israeliti, custodi della tradizione biblica originaria e discendenti delle dieci tribù perdute dopo l’esilio di Babilonia; o i Copti dell’Egitto, sotto certi aspetti residui del culto monoteista di Akhenaton in veste cristiana (con Amen per Amon e San Giorgio che infilza il drago come Horus infilzava l’ippopotamo…); o infine i Kalasha del Kafiristan e del Kashmir, dai capelli biondi e dagli occhi azzurri come i soldati di Alessandro Magno, che – quasi ad immagine della famosa novella di Kipling – aspettano forse ancora il ritorno di Sikandar.
Tutte queste affascinanti meraviglie e molte altre riguardanti le minoranze religiose medio orientali che praticano credenze ancestrali, talvolta sepolte o dissimulate, rischiano, dopo millenni di sopravvivenza, la scomparsa o la dispersione a causa degli eventi sempre più tragici e violenti dell’attualità – la guerra del Golfo; la rivoluzione khomeinista; la repressione dell’Intifada palestinese; la guerra civile libanese; l’invasione dell’Iraq e dell’Afghanistan, le azioni dei Fratelli Mussulmani in Egitto, il cosiddetto Califfato islamico o Daesh, ecc. Questo libro affascinante ripercorre le tortuose traiettorie che collegano i regni dimenticati di mondi arcaici e anacronistici alle origini della nostra civiltà, al caos di distruzione e guerra totale che da decenni insanguina il Medio Oriente e l’Asia Minore.
Gerald Russell, diplomatico britannico che ha vissuto e girovagato tra Il Cairo, Gerusalemme, Baghdad, Kabul e Gedda ed è stato portavoce del governo di Londra per i canali d’informazione in lingua araba, ha impiegato quattro anni per indagare questa quasi inafferrabile realtà sommersa: a parte i cristiani Copti egiziani, che ammontano a 4 milioni e mezzo secondo i loro connazionali musulmani e a più di 8 secondo loro stessi, i Drusi sarebbero un milione, sparsi fra Libano, Siria, Giordania e Israele; gli Yazidi, dopo 72 persecuzioni nel corso della loro storia, 73 con quella condotta dall’Isis nel 2014, sono forse mezzo milione contando la diaspora in Europa; gli Zoroastriani 100 mila in tutto il mondo e solo 5 mila nell’Iran dove un tempo erano la religione dominante; i Kalasha del Pakistan sono ridotti a 4 mila dopo le campagne dei musulmani per convertirli e i Samaritani addirittura a meno di 800.
Ma il destino di questi culti, origine e modello nel bene e nel male di gran parte di quelli successivi divenuti maggioritari, sarebbe stato molto diverso – secondo Russell – se il cristianesimo non fosse divenuto religione di Stato dell’Impero inducendo le autorità di Roma ad estirpare tutte le fedi rivali: per cui l’intolleranza del passato si specchia abissalmente in quella del presente.