Avanguardia d’annata

Kurt Schwitters, AB AB KS, a c. di e tr. Giulia Disanto, La Grande Illusion, pp. 146, €17,50 stampa

In realtà il titolo lo si dovrebbe scrivere come appare in copertina e al frontespizio:

AB

AB

KS

Per rispetto dell’autore, della curatrice e delle avanguardie di inizio Novecento, di cui Schwitters fu un rappresentante di punta, pur con tutti i limiti e i distinguo che Giulia Disanto mette in luce nella sua postfazione: scrittore, pittore e artista vicino all’espressionismo prima e al dada poi (cui oppose un proprio movimento di ribellione formale, che battezzò Merz: come ‘marzo’, inizio di primavera, ma anche antitesi a Kommerz, ‘commercio’), alla ricerca dell’approvazione dei grandi fustigatori della società borghese – George Grosz, tra tutti – eppure sostanzialmente furbo e pigro, poco propenso a esuberanze rivoluzionarie, Schwitters alternò opere sperimentali ad altre più ordinarie e placidamente iscritte nel solco della tradizione (Richard Huelsenbeck, figura ben più radicale, lo definì il “Kaspar David Friedrich della rivoluzione dadaista”), senza avvertirne in apparenza la contraddizione.

Quella che Giulia Disanto propone in questo libriccino prezioso (prezioso proprio anche come oggetto: bella carta, bei caratteri, colori, traduzione e riproduzioni accurate) è una coppia di testi accomunati dalle iniziali (le AB del titolo), Augusta (Auguste nell’originale) Bolte e Anna Blume (Anna Belfiore nella traduzione italiana), e dall’autore, Kurt Schwitters (KS), appunto. Il primo è il racconto, che procede per scrittura associativa, di un continuo inseguimento, parossistico e senza perché, che vede agire il personaggio maschile/femminile di Augusta in una serie di scene da slapstick, senza conclusione o coerenza, e in cui sembra realizzarsi una raffigurazione narrativa dell’idea astratta di movimento, così centrale in quel primo scorcio di Novecento.

Più noto e più breve il secondo, una delle liriche più rappresentative della produzione sperimentale e post-espressionista tedesca, ormai, come scrive la curatrice, assunta in pianta stabile “nel canone poetico del Novecento”: una poesia d’amore, come l’amore sbrindellata, assoluta e polisemantica, ricca di echi dell’espressionismo, del dada, ma anche della “grammatica dell’assurdo” di un Wilhelm Busch (ampiamente citato in Augusta Bolte) o di un Ringelnatz, costruita sulla rottura ironica della forma grammaticale e sintattica del cabaret d’avanguardia (ciò che Schwitters scrive è imprescindibile dal suo declamarlo, come ricorda l’autore stesso all’inizio di Augusta Bolte). Un piccolo capolavoro, reso ottimamente in italiano, incastrato in un volumetto delizioso e ben curato.

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