Scomparso dagli scaffali per un una manciata di anni, il celebre saggio di Macdonald è tornato a riveder le stelle, grazie a Piano B, in un’edizione ottimamente curata e tradotta da Mauro Maraschi.
Due parole sull’autore: trozkista, anarchico, pacifista, impolitico, aristocratico, radicale e poi ancora pacifista, Dwight Macdonald attraversa buona parte del novecento come un «segno errante»: riverberando tutte le contraddizioni di cui solo un libertario americano poteva caricarsi ai tempi suoi. Giornalista, critico, recensore, nel 1943 abbandona la Partisan Review per fondare, l’anno seguente, la leggendaria rivista politics cui collaborano, tra gli altri, Mary Mc Carty e Paul Goodman, Nicola Chiaromonte e Albert Camus. Finita l’esperienza di politics inizia a scrivere recensioni per il New Yorker.
Nel 1960, la Partisan Review accetta di pubblicargli lo scritto che lo consegna alla storia come uno dei più bizzarri e geniali pensatori della sua generazione.
Stampato a cavallo tra Dialettica dell’Illuminismo (Adorno & Horkheimer, 1957) e L’uomo a una dimensione (Marcuse, 1967), Masscult Midcult si guadagna da subito una posizione chiave nell’inesauribile dibattito sulla cosiddetta Cultura di Massa; e ciò, malgrado l’impianto asistematico e il taglio spiccio del pamphlet; anzi, probabilmente, proprio in forza di questo suo taglio: perché, come capita talvolta ai filosofi non professionisti, Macdonald, libero dal basto del rigore e di una lingua specialistica, preferendo lo schizzo all’affresco, riesce a cogliere il dinamismo del suo oggetto. Oggetto in perenne ridefinizione di cui fissa nodi teorici che mostrano tuttora una vitalità sorprendente. Mutatis mutandis, infatti, se la netta contrapposizione tra cultura alta e la cultura di massa (Masscult) così come la configura Macdonald appare oggi obsoleta, l’individuazione del Midcult quale destino (e merce) della cultura «in generale» non può smettere di interrogarci.
Certo, il Midcult a cui si riferisce l’autore si è evoluto (e diversificato) nelle caratteristiche formali, ma la sua essenza resta invariata: Midcult era e rimane il prodotto che aspira alla cultura alta senza assumersene i rischi; il prodotto magniloquente e/o didascalico, dotato di un messaggio predigerito e pronto all’uso: perfetto per essere riassunto in una morale di poche righe (o in un tweet). Il prodotto che ammaestra e intrattiene, chiedendo al fruitore una partecipazione debole se non passiva, rassicurandolo col brand della «Cultura». Per farla breve: la merce più venduta e ricercata dall’industria culturale occidentale odierna che, fatte le debite eccezioni, sta cedendo il tradizionale pubblico del Masscult all’idra insaziabile della sub-cultura, per concentrarsi su un pubblico moderatamente alfabetizzato a cui spacciare intrattenimento moderatamente «intelligente»; con diverse sfumature: politicamente corrette, cool (per non scontentare gli snob), a vario titolo edificanti, mai veracemente ambigue, didattiche. Fumosamente filosofiche per fare atmosfera.
Così, dalle giganto-mostre a tante serie tv, dal romanzo del giorno (ce n’è sempre uno in classifica) al film «acclamato dalla critica», la fabbrica del midcult ci salva dall’abisso della subcultura senza chiederci sforzi intellettuali, ma appuntando tante medagliette sul risvolto della nostra autostima.
Se, come sintetizza Maraschi nell’introduzione, il Midcult si regge sulla «combinazione ipocrita di democraticità (la cultura per tutti) ed elitismo (la cultura che ti rende migliore degli altri)» c’è da chiedersi se oggi, (oggi che dai meandri di ieri rispunta la canna della pistola di Goebbles pronta a sparare su tutto quello che puzza di ‘sapere») non si debba tornare a fare i conti con i rischi insiti in questo stile diffuso che, oltre a indebolire la ricerca, contribuisce a fare del «mondo culturale» una sorta di giardinetto autoreferenziato, pigramente pago della propria presunta superiorità.
Chi è senza peccato scagli la prima pietra.
Nella consapevolezza, però, che un’intelligenza che crede di nutrirsi quando invece spizzica, non avrà mai la tonicità necessaria ad affrontare l’orda scomposta dei piccoli Goebbels che, pare evidente, non vedono l’ora di bruciare il giardino.