Henry Miller, Giorni tranquilli a Clichy (fotografie di Brassaï), tr. Katia Bagnoli, Adelphi, pp. 188, 23 ill. €18,00 stampa €9,99 eBook
recensisce ELIO GRASSO
Torna in una nuova edizione, corredata dalle foto di Brassaï, la testimonianza materiale di una Parigi in bianco e nero, e con ampia sfumatura di grigi, dove uomini e donne si baciano con alle spalle barboni addormentati. È la Parigi indolente e alcolica degli anni ’30, dove amabili puttane tiravano fuori quel che sappiamo ai ballerini durante le danze, quando pigrizia e amore mercenario se la facevano con vini algerini da quattro soldi e Montmartre puzzava lodevolmente di marcio. E di dolcezze agresti.
La Tour Eiffel poteva sembrare lontana a questo Henry Miller che scrive sconcezze per sbarcare il lunario, o capolavori come Tropico del Cancro anticipatore dei fasti degli addomi. Roba che in Italia non poteva che essere tradotta da Bianciardi e letta (ma in originale, per carità!) dall’Arbasino. Tutte storie narrate e ricantate in legioni di salse, tanto per far risorgere a ogni decade la pruderie italica, e i contraltari porno, mancando sollecitudini contemporanee valorose.
Da noi si ricordano soltanto l’amabile antesignana Milena Milani e i più recenti libri di Giulia Fantoni, e l’ormai mitologico Parodia di Ruggero Guarini. Regioni nemiche, lo sappiamo bene, del buon senso comune, ma non dei sensi casalinghi nostrani, al netto di una scrittura di gran valore e premurosa, e che molti oggi possono al più sognare. È la vita, bellezza. È la differenza fra scandalo e scandalizzarsi. Lo scandalo è narratore di prima qualità, appalta lucrose immaginazioni, e capolavori preventivi, e passaggi per ogni dove, dalle Ande a Matera, da Bangkok a Rimini, da Trastevere e Bovisa a via Prè. Con tutte le tangenziali limitrofe percorse da Kafka, Proust e Ivory. Roba da Castello e Los Angeles (Big Sur e Coney Island of the Mind, per dire).
Digressioni e parentesi a parte, i Quiet Days scorrono su scenari di prima mano, vagabondaggini e avventure quotidiane con fanciulle graziose e pazze, con il divertimento tipico dei guasconi autobiografici resi leggendari da Miller. Nelle catacombe en plein air di una città ispiratrice, amante e lunatica, più di qualunque altra. Le fotografie di Brassaï, decisamente riportano al nostro sguardo il tempo di quella generazione, le luci e le ombre di vicoli e vetrine, di locali malfamati dove ragazzotti paffuti e divertiti si stringono a signorine altrettanto sorridenti. Brassaï restituisce in quegli scatti la notte calda, anche un po’ sporca, di Parigi, indifferente propiziatrice d’arte e spudoratezze.
A noi, della generazione che ha perduto tutto per sempre, resta la professione del rimpianto, per quel tempo in cui signori come Eliot e Pound si permettevano l’intelligenza di lodare opere come Tropico del cancro.